Giornata internazionale della pace

Dopo una sostanziale passività politica durata due anni, e la complicità nel conflitto nella Striscia di Gaza di stati membri con la fornitura di armi e servizi, è arrivato l’annuncio della presidente dell’Unione Europea (Ue), Ursula von der Leyen, riguardo alla sospensione, delle parti relative al commercio dell’accordo di associazione con Israele, e i fondi veicolati attraverso diversi programmi, oltre a possibili misure contro ministri estremisti e coloni violenti. Serve ricordare che la ferocia perpetrata dall’esercito israeliano ha provocato oltre 65.000 morti palestinesi accertati, al 75 per cento donne e bambini, anche se alcune stime indicano un numero fino a 680.000 vittime.

L’Ue sembrerebbe avviata a intraprendere azioni che la distanziano dal genocidio del popolo palestinese, sancito dalla Commissione d’inchiesta internazionale indipendente delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati. La Commissione, infatti, ha concluso che le autorità e le forze armate israeliane, dall’ottobre 2023, hanno commesso quattro dei cinque atti genocidi elencati nella Convenzione sul genocidio del 1948: uccidere membri del gruppo, causare gravi danni fisici o mentali ai membri del gruppo, infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita volte a provocarne la distruzione fisica in tutto o in parte, e imporre misure volte a impedire le nascite all’interno del gruppo.

Spinta dalle reiterate richieste di Spagna, Irlanda, Norvegia e Slovenia, e le proteste dei cittadini nelle piazze, l’Ue ha riconosciuto l’infrazione dell’articolo 2 dell’accordo, che pretende il rispetto dei diritti umani, come condizione per godere dei benefici commerciali. In particolare, il premier spagnolo Pedro Sánchez denuncia da mesi i doppi standard occidentali nel trattare la guerra in Ucraina e quella a Gaza. A ben vedere, l’accordo non avrebbe mai dovuto essere siglato, in quanto le violazioni di Israele al diritto internazionale, in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est, sono anteriori alla data della sua entrata in vigore, nel 2000.

Tuttavia, la reazione europea, non solo è tardiva, ma si configura anche come molto cauta. Infatti, non si parla di una totale sospensione del commercio, bensì di una reintroduzione dei dazi che colpirebbero il 37 per cento delle esportazioni di Israele verso l’Europa, perlopiù prodotti agricoli come datteri e avocado, prodotti chimici e macchinari industriali. Su questi beni, che valgono circa 16 miliardi di euro all’anno, verrebbero applicate gabelle tra l’8 e il 40 per cento, con un costo aggiuntivo stimato di circa 220 milioni di euro per le aziende israeliane. In parallelo, dovrebbero essere congelati 14 milioni di euro in progetti di cooperazione.

La proposta è stata presentata, il 17 settembre, dall’Alta rappresentante Ue per gli affari esteri, Kaja Kallas, a pochi giorni dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, del 24 settembre, dove il presidente francese, Emmanuel Macron, proverà a ottenere nuove adesioni per lo stato palestinese, oggi riconosciuto da 146 paesi, fra i quali non si annovera l’Italia. L’opposizione di stati membri restii a sanzionare Israele, come Austria, Cecoslovacchia, Germania, Italia, e Ungheria, che nel passato hanno compromesso iniziative simili, rimane il vero problema. Per l’approvazione, serve una maggioranza qualificata di 15 su 27 che, inoltre, deve rappresentare il 65 per cento della popolazione totale europea.

Nonostante le gravi e palesi contraddizioni dell’Ue, e la sua inadeguatezza cronica nell’incarnare uno spirito autentico di pace e solidarietà, una porzione importante della società civile ha, da sempre, dimostrato capacità di denuncia dell’occupazione militare israeliana e i crimini di guerra commessi dal 1948, con consapevolezza e volontà pacifista. Nella giornata internazionale per la pace, il Toro e la Bambina celebra la visione, il coraggio, e la determinazione, della Global sumud flotilla (sumud vuol dire resistenza in arabo), e i suoi sforzi per mantenere alta l’attenzione su una catastrofe umanitaria, di cui pochi intendono occuparsi, e sul negazionismo di uno stato violento, che rappresenta un pericolo per i valori della convivenza democratica globale e il senso più profondo della nostra umanità.

Questo movimento è integrato da organizzatori e partecipanti di Maghreb sumud convoy, Sumud nusantara Asian flotilla, Freedom flotilla coalition, e quarantacinque delegazioni nazionali di Global movement to Gaza (già Global march to Gaza), riuniti per il raggiungimento dell’obiettivo comune di rompere l’isolamento della Striscia di Gaza dal mare e così aprire un corridoio umanitario, che possa alleviare le sofferenze del popolo palestinese, con aiuti concreti in medicinali, derrate alimentari e altri generi di conforto. Decine di natanti, di tutte le dimensioni, sono salpati da vari porti nel mondo, e stanno convergendo verso la costa di Gaza, formando la più grande flotta civile, predisposta a fini umanitari, della storia. Gli equipaggi sono costituiti da attivisti per i diritti umani, medici, avvocati, artisti, religiosi di fede cristiana, mussulmana ed ebraica, rappresentanti della politica, giornalisti, comuni cittadini, e navigatori, che credono nella dignità umana, la giustizia, la libertà, la solidarietà internazionale, e il potere dell’azione nonviolenta.

Le attività della Global sumud flotilla sono in linea con quanto prescritto dalla Corte internazionale di giustizia, il 26 gennaio 2024, e le seguenti ordinanze del 24 e 28 marzo dello stesso anno, nell’ambito del caso Sud Africa vs Israele con l’accusa di genocidio. Nello specifico, la Corte ha richiesto allo stato di Israele di applicare ogni provvedimento in suo potere per permettere e facilitare, con urgenza, l’assistenza umanitaria nella Striscia di Gaza, istanza che è rimasta disattesa, producendo una catastrofe ancora impunita. Al momento, 38 imbarcazioni si trovano in viaggio e la loro rotta può essere tracciata mediante un apposito sistema approntato dal coordinamento generale al seguente collegamento: https://globalsumudflotilla.org/tracker/

Secondo le informazioni pubblicate dalla stampa, le navi Madleen e Handala sono state intercettate dalla marina israeliana, in acque internazionali. Quanto avvenuto è in trasgressione della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, del 1982, anche conosciuta con la denominazione di Convenzione di Montego Bay, e della IV Convenzione di Ginevra, del 1949, sulla protezione delle persone civili in tempo di guerra. La Hind Rajab Foundation, con base in Belgio, ha presentato un’azione legale, richiedendo l’intervento della Corte criminale internazionale e dell’Interpol.

Madleen, nome della prima donna pescatrice di Gaza, Madleen Culab, trasportava latte in polvere, farina, riso, kit per la desalinizzazione dell’acqua, farmaci e materiali medici, stampelle, prodotti per l’igiene mestruale, pannolini per neonati, e protesi per bambini amputati. È stata attaccata con agenti chimici, il 9 giugno. Le dodici persone a bordo, incluse l’attivista svedese per il clima Greta Thunberg e l’eurodeputata francese Rima Hassan, sono state incarcerate in Israele.

Anche il carico dell’Handala, battezzata con il nome dell’iconico personaggio dei fumetti, creato da Naj al-Ali, che simbolizza la resistenza palestinese e il diritto dei rifugiati a fare ritorno alle loro case, è stato confiscato, il 25 luglio. Alcuni dei ventuno membri dell’equipaggio, fra i quali il sindacalista statunitense Chris Smalls, hanno riportato di essere stati vittime, durante la detenzione in Israele, di privazione dell’assistenza legale, e attacchi fisici e tortura, da parte delle forze di sicurezza.

Le navi Familia Madeira e Alma, quest’ultima l’imbarcazione più grande della flotta, sono state aggredite il 9 e il 13 settembre. Entrambe sono state colpite, in acque tunisine, da ordigni incendiari, lanciati da droni, che non hanno provocato feriti, ma gravi danni. La coalizione ha dichiarato di aver preso iniziativa, dove i governi nazionali, e le istituzioni internazionali preposte, hanno fallito. Il peggioramento progressivo della situazione a Gaza impone alle donne e agli uomini di coscienza di non rimanere in silenzio di fronte all’impunità di Israele.

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