
All’inizio dell’anno, il Toro e la Bambina ha riportato la vicenda di Hind Rajab, una bambina di sei anni, intrappolata in macchina, con gli zii e la cugina, sotto il fuoco delle forze armate israeliane.
La registrazione al centralino della Mezzaluna palestinese, che conserva la sua richiesta di aiuto, ha ispirato il cortometraggio Hind Under Siege, per la regia di Naji Salameh, e il film The voice of Hind Rajab, di Kaouther Ben Hania, premiato al festival di Venezia. Quest’ultimo, che ha come produttori esecutivi le star di Hollywood Joaquin Phoenix, Rooney Mara, Brad Pitt, Alfonso Cuarón, e Jonathan Glazer, è stato proposto per la selezione della migliore pellicola straniera agli Oscar del 2026.
L’esercito israeliano aveva affermato che le proprie truppe non si trovavano a portata di tiro, rispetto alla posizione della vettura e dell’ambulanza, anch’essa crivellata di colpi. Tuttavia, i risultati dell’investigazione ufficiale non sono mai stati resi noti. L’attrice Saja Kilani ha dichiarato che la storia di Hind porta il peso di un intero popolo, e che la sua voce è quella di tutti i bambini assassinati, e del loro diritto a sognare ed esistere in dignità, mentre le loro vite sono, invece, stare mietute nell’indifferenza generale. Il Toro e la Bambina, fra i tanti, vuole ricordare Yaqeen Hammad, Sila al-Faseeh e Tala Abu Ajwa.
Sono anche del 2025:
Louis Theroux: the settlers, documentario per la televisione diretto da Joshua Baker e prodotto dalla BBC, dove il giornalista Louis Theroux, quindici anni dopo la sua prima visita, torna nei territori occupati della Cisgiordania, e intervista membri della comunità religioso-nazionalista di Israele.
Gaza: Doctors Under Attack, di Karim Shah, indagine forense sugli attacchi militari israeliani agli ospedali di Gaza e sulle violenze contro medici e operatori sanitari nella regione.
Numerosi i lavori cinematografici che, dal 2023, danno voce alle vittime del genocidio e documentano la natura dell’occupazione e l’entità della violenza da parte dell’esercito di Israele. Nel 2024, sono usciti cinque importanti lavori:
From ground zero, una raccolta di ventidue cortometraggi, realizzati da registi palestinesi dalla prospettiva unica della guerra in corso, avviata da Rashid Masharawi, con Michael Moore come produttore esecutivo, per raccontare storie inedite di sfide, tragedie e coraggio nell’enclave di Gaza.
Investigating war crimes in Gaza, prodotto da Al Jazeera Investigations, per documentare i crimini di guerra commessi dall’esercito israeliano, utilizzando le fotografie e i video postati sui social media dagli stessi soldati, sulla base di un archivio di centinaia di pubblicazioni.
Gaza is our home, filmato e montato da Monear Shaer, il quale narra il costo umano del conflitto attraverso la storia della propria famiglia che trascende la retorica politica.
No other land, girato e sceneggiato da un collettivo di registi palestinesi e israeliani, Basel Adra, Yuval Abraham, Hamdam Ballal, e Rachel Szor, vincitori dell’Oscar per il miglior documentario nel 2025, che presenta un repertorio impressionante di azioni repressive, perpetrate dal 2019 al 2023, ai danni di una comunità inerme della Cisgiordania, che trova i modi per resistere, ricostruire, e non reagire con la violenza.
Thank you for your Interest, thank god anyway, un corto, per la regia di Rob Night, sull’amicizia fra una donna palestinese e un uomo statunitense, che questa contatta per richiedere aiuto durante i primi mesi della recrudescenza del conflitto, e sul contrasto tra la vita nei due paesi.
Nel 2023, prima del genocidio, Roland Nurier aveva diretto e sceneggiato Yallah Gaza. Un documentario, sorretto da una solida base di ricerca, sulla storia e resilienza del popolo palestinese, mantenuta in uno stato di terrore permanente dal 1948. Dello stesso anno:
Gaza: A Reporter under Fire, di Ahmed Deeb, evento drammatico di un fotografo che al lavoro viene a conoscenza di un attacco militare nel suo quartiere di Gaza e della morte di quattro dei suoi figli.
A Man Fell, girato da Giovanni C. Lorusso, descrive la vita quotidiana nell’ospedale dei campi profughi di Sabra e Shatila, in Libano, conosciuto come “Gaza Building”, dalla fine degli anni Settanta, luogo di rifugio e sopravvivenza per generazioni di palestinesi.
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