Guatemala: un passo avanti, due indietro

Nel complesso, il Guatemala ha indicatori da quello che una volta si chiamava il terzo mondo, fra i quali, il 45 per cento di malnutrizione cronica nei bambini sotto i cinque anni di età, oltre il 50 per cento di povertà e povertà estrema, e l’esclusione dalla previdenza sociale del 75 per cento della forza lavoro, in quanto impiegata nell’ambito informale.  Le entrate fiscali non superano il 10 per cento del Pil, con una sofferenza finanziaria per l’istruzione, l’occupazione, la sicurezza e la giustizia, e il ricorso indiscriminato al debito interno ed esterno per coprire il deficit del funzionamento dello stato.

Cultura e gestione della res publica restano di sapore coloniale.  Circa due dozzine di famiglie rappresentano il 90 per cento del reddito globale su 17 milioni.  Le compagnie straniere che estraggono ricchezza dal sottosuolo per legge corrispondono all’erario l’1 per cento dei loro ricavi ed è per un gesto di buona volontà che alcune arrivano a contribuire con il 5 per cento.  Durante il suo primo viaggio negli Stati Uniti, il presidente uscente, Jimmy Morales, aveva offerto a Trump manodopera a buon mercato per costruire il muro lungo la frontiera sud.

Secil De Leon è un analista politico, e docente universitario presso l’Università San Carlos, l’unico ateneo statale, in un paese dove si sta privatizzando il comparto educativo.  Con lui analizziamo la discussa conclusione delle recenti elezioni politiche, soffermandoci su temi dell’attualità nazionale.

MP:  I guatemaltechi hanno espresso una marcata astensione per il secondo turno delle elezioni generali, che ha designato non solo il presidente della repubblica, ma 340 sindaci, 160 deputati e 20 delegati per il parlamento centroamericano. A quali elementi si deve questa alienazione dagli strumenti di partecipazione democratica?

SDL:  L’astensionismo è una tendenza che ha raggiunto i suoi numeri più bassi in questa ultima tornata.  La vittoria di Giammattei è minata da un gap di legittimità: 8 milioni di abitanti erano abilitati al voto ed è stato proclamato con meno del 25 per cento del totale.  Una ragione potrebbe essere che la giustizia è intervenuta in modo decisivo nell’arena elettorale e, a causa di evidenti violazioni dello stato di diritto, ben cinque candidati sono stati esclusi sin dal primo turno.  Tra questi, la figlia del dittatore Rios-Montt, e Thelma Aldana, ex capo della procura, per le quali era stata testimoniata una massiccia intenzione di voto.  Questi eventi ripetuti hanno determinato un quadro di incertezza nell’arena politica tanto che, fino a poche ore dall’apertura delle urne, non era chiaro dal punto di vista giuridico se potesse rotolare qualche altra testa.  Va detto che le inchieste che la commissione internazionale contro l’impunità (Cicig) e la procura hanno condotto dal 2015 hanno mostrato un sistema perverso e ipocrita, trasversale a tutti i settori, gestito da politici di lungo corso, imprenditori di successo, ufficiali pluridecorati, e membri del clero, che nascosti da una cortina di rispettabilità, depredavano risorse pubbliche per alimentare lussi individuali, così aggravando la deprivazione a cui è soggiogata la maggior parte della gente.  Soprattutto, va detto che le denunce di frode nel centro di calcolo del tribunale supremo elettorale, già al primo turno, sono cadute nel vuoto, provocando un diffuso sentimento di sfiducia.  Nemmeno la stampa ha dato credito alle segnalazioni, ora confermate.  È stato riconosciuto che ci sia stata manipolazione ed è stata aperta un’indagine penale.  Ci troviamo in una situazione in cui sono stati annunciati un presidente, e un parlamento, senza che si sappia con affidabilità come sia stata distribuita la volontà popolare.

MP:  Il tribunale supremo elettorale ha sancito la vittoria di Alejandro Giammattei, del partito di centrodestra Vamos, per la massima carica dello Stato, con il 57 per cento delle preferenze, equivalente a 1.9 milioni di volti, dopo tre esperimenti con partiti diversi. Giammattei, promilitarista, accusato di aver partecipato a esecuzioni extragiudiziali, si installerà il 14 gennaio del 2020.  Cosa ci dice questo risultato del paese attuale?

SDL:  Il nostro è un paese ricco e meraviglioso, stracolmo di indigenti, analfabeti e disoccupati, senza nessun mezzo per cambiare la propria condizione.  I giovani costituiscono più della metà dei guatemaltechi, ma questo segmento vitale per la società e l’economia sogna di migrare verso migliori prospettive, identificate negli Stati Uniti.  Giammattei è stato patrocinato da un milionario, proprietario di Claro, una delle due società di telefonia che operano in Guatemala.  Sandra Torres, al ballottaggio con Giammatei, è stata patrocinata da un altro milionario, proprietario di Tigo, la compagnia concorrente.  Questo è uno scontro tra fortune di dubbia origine che mirano all’appalto del 4G su scala nazionale.  Questo scampolo di narrazione locale accade in un mondo in cui Trump e Xi Jinping lottano per il controllo del 5G.  Con questa elezione, il Guatemala rimarrà un paradiso per uomini d’affari senza scrupoli, funzionari corrotti, e criminalità.

MP:  Quali sono le ragioni della sconfitta di Sandra Torres? Al primo turno, la candidata del Partito dell’Unità e della Speranza (Une per la sigla in spagnolo) era in vantaggio.  Molti analisti hanno parlato di un partito sovrasaturato di leader e di uno stile interpersonale della stessa Torres che non faciliterebbe i negoziati e i patti incrociati.  Cosa ne pensa?

SDL:  Sono stati resi pubblici gli audio di comunicazioni in cui Torres accettava un contributo non dichiarato di un milione di dollari per una precedente campagna.  Questo non le ha impedito di competere, perché i processi intentati contro di lei non hanno portato a una condanna.  Ha giocato a sfavore il fatto di essere al suo terzo tentativo consecutivo di conquistare la poltrona, con un accumulo di voto di rifiuto o di punizione, al quale vengono sottoposti molti personaggi con un surplus di visibilità.  Pure Giammattei era alla sua terza prova, ma Torres era stata la first lady durante il mandato di Alvaro Colom, con un enorme potere reale nel governo della Une fra il 2008 e il 2012, al punto che si parlava del “governo della moglie”.  Nel 2015, questo stesso meccanismo implicito ha catapultato il novellino Jimmy Morales alla presidenza, superandola.  Nemmeno la rivelazione della condotta sessuale promiscua di Giammattei all’interno del suo stesso partito con giovani militanti, in un contesto religioso come il Guatemala, ha prodotto un esito differente.

MP:  Il contrasto alla Cicig tanto del vecchio presidente come del nuovo è nota. La commissione, tuttavia, ha esibito la trama fra l’apparato politico e la finanza elettorale, dove gli imprenditori e la criminalità organizzata pagano le campagne e poi ottengono contratti.  La corruzione e il traffico di influenze incidono sull’alto tasso di povertà e ingovernabilità e la Cicig ha un robusto supporto civico.  Potrebbe cambiare lo scenario?

SDL:  La lotta contro la corruzione chapina [forma colloquiale per guatemalteca, ndr] ricorda l’Italia degli anni novanta con Mani Pulite.  Nel nostro caso, la Cicig è stata incentivata dagli Stati Uniti e governi europei.  L’ambasciata americana in Guatemala è un attore politico di rilievo, occupato finora dalla linea democratica.  Senza il suo appoggio politico, finanziario, tecnico e di intelligence, la riuscita non sarebbe stata la stessa.  Portare i sei imprenditori più influenti del paese in tribunale per aver finanziato illegalmente la campagna di Jimmy Morales nel 2015 non sarebbe stato viabile senza una benedizione papale, in questo caso, degli Stati Uniti.  La residenza e l’apparato di sicurezza del commissario Iván Velásquez sono sempre stati sulla lista spese dell’ambasciata.  La commissione ha svelato il vero volto di un impianto malavitoso e prevaricatore che assicura che nulla cambi, nonostante la chiamata alle urne ogni quattro anni: un sofisticato gattopardismo tropicale.  Il rapporto delinquenziale tra i grandi imprenditori locali, la classe politica, i loro esecutori ai vertici delle istituzioni statali e dell’esercito, e reti criminali, è stato smascherato, toccando la figura del presidente della repubblica e la sua famiglia, coinvolti in illeciti che includono corruzione, narcotraffico e riciclaggio di denaro sporco.  Non so se e come potrebbe cambiare lo scenario.  Purtroppo, Trump è in cerca di consensi all’Onu, e in seno alla organizzazione degli stati americani, a puntello di decisioni azzardate e invise, da Israele al Venezuela, e ha trovato in Jimmy Morales [l’ambasciata guatemalteca è stata spostata da Tel Aviv a Gerusalemme in seguito alla decisione del presidente degli Stati Uniti, ndr] e in Aleandro Giammattei dei fidati vassalli.  La Cicig è diventata materiale di scambio.

MP:  Giammattei ha concentrato la sua strategia elettorale sull’opposizione all’accordo migratorio firmato a Washington da Jimmy Morales che prevede l’accoglienza di migranti e richiedenti asilo da El Salvador e Honduras in transito verso gli Stati Uniti. Trump ha minacciato il Guatemala di imporre dazi sulle sue esportazioni, e tassare le rimesse che 1 milione e 500 mila guatemaltechi residenti negli Usa inviano al loro paese, e che costituiscono forse la misura più efficace contro la povertà.  C’è un’uscita da questa spinosa questione?

SDL:  La notizia della firma dell’accordo che rende il Guatemala un paese terzo sicuro è arrivata a una settimana dal primo turno.  Giammattei aveva palesato di essere contrario.  Come presidente eletto ha ricalibrato la sua posizione, dicendo che deve essere rinegoziato e ogni giorno che passa lo vediamo avvicinarsi alla linea di Washington.  Dal 1954, il capitale statunitense determina la vita di questo paese.  Con l’eccezione di Alfonso Portillo [la sua amministrazione si è svolta fra il 2000 e il 2004, ndr], tutti i governi hanno ridotto la politica estera guatemalteca a un tappetino per gli interessi americani.  Per quanto si può vedere, Giammattei non sarà l’eccezione, poiché l’esercizio della sovranità ha un prezzo.  Cuba e Venezuela sono due esempi di politiche repressive applicate a coloro che non si allineano.

MP:  Che resta della “primavera chapina” del 2015? Quel movimento sociale portò alle dimissioni dell’allora vice-presidente Roxana Baldetti, prima, e poi a quelle del presidente Otto Perez Molina.  Quale ruolo può svolgere nell’immediato futuro del Guatemala il collettivo Justicia Ya, che nasce da quelle marce, con l’obiettivo della trasformazione politica del paese?

SDL:  Le imponenti mobilitazioni degli anni ’60, ’70, ’80 e ’90 in Guatemala non hanno avuto replica nel secolo attuale.  Dalla firma della pace nel 1996, la coesione sociale si è disarticolata e, con le dovute eccezioni, diluita in una miriade di Ong prese in ostaggio dal finanziamento di agenzie di cooperazione e sviluppo.  Le manifestazioni del 2015 a Città del Guatemala, come nelle ‘primavere arabe’ del 2011, sono state avviate e alimentate dal ruolo dinamico dei social network, arrivando ad affollare la piazza principale della capitale, dove si affaccia il palazzo presidenziale, come non era successo in anni, sull’onda delle imputazioni lanciate dalla Cicig, per la prima volta nella storia, senza remore riguardo a cognomi altisonanti, status o relazioni.  Sono stati creati collettivi, che hanno ricevuto risorse dall’ambasciata degli Stati Uniti e la comunità internazionale, e non hanno certo messo a repentaglio lo status quo.  Col passare del tempo, l’euforia è scemata, ma possiamo dire che anche se l’azione non è stata sostenuta, ha finito per lasciare un segno.  Poche settimane fa, l’Università San Carlos è stata occupata da un gruppo di studentii per protestare contro la mancanza di trasparenza, le privatizzazioni che il rettore e il consiglio superiore intendono effettuare, e l’imposizione di decisioni che danneggiano l’utenza.  Questi ragazzi sono il frutto di quel 2015 che ha forgiato la loro concezione dell’esercizio della cittadinanza.  Non va nemmeno sottovalutato il fatto che in queste elezioni chi si è distinto come il candidato di estrema sinistra è una contadina maya: Thelma Cabrera del Movimento di Liberazione Popolare.  Ha vinto in tre circoscrizioni e con il 10 per cento ha fatto il suo ingresso nel congresso della repubblica.  Se le cinque proposte della sinistra avessero potuto convergere, ci sarebbe stata l’effettiva possibilità di affrontare Sandra Torres nel ballottaggio e “avrebbe cantato un altro gallo”, come diciamo al mio paese.

 

Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano indipendente online di geopolitica e politica estera Notizie Geopolitiche.

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