Spazi strategici: le nuove rotte marittime del Polo Nord

Il Circolo Polare Artico è spesso nel dibattito pubblico attinente all’impatto del riscaldamento globale sul suo ecosistema unico. Per sopravvivere, l’umanità necessita di questo serbatoio d’acqua che è il più grande del pianeta, ma si sta verificando un mutamento epocale che ha posto la sua fragilità al centro dell’attenzione internazionale, con l’urgenza di politiche ecologiche, e proposte nell’ambito della blue economy, sia per arginare i rischi dello scioglimento dei ghiacci, sia per convertire la salvaguardia dell’ambiente in opportunità di crescita.

Le condizioni proibitive di vita avevano sempre protetto l’area dall’intromissione umana. Tuttavia, negli ultimi quarant’anni, il cambio climatico, ha determinato l’apertura naturale di nuove rotte marittime, favorite dalla riduzione della superficie della banchisa durante i mesi estivi, e un più facile accesso alle riserve minerarie. La rotta più spettacolare è quella transpolare, inaugurata nel 2017, che taglia il Polo Nord, ed è accessibile solo a potenti rompighiaccio, specialità della marina russa. Questa si aggiunge ad altre due, in precedenza navigabili solo per poche settimane: il passaggio a nord-ovest, lungo le coste americane, canadesi e groenlandesi, e il passaggio a nord-est, lungo le coste russe, ormai agibile da maggio a ottobre.

La Russia fa affidamento su questa rotta che accorcia di un terzo il tempo di percorrenza tra Rotterdam e Shanghai. Oggi, il traffico russo riguarda, in primo luogo, il trasporto di gas naturale liquefatto e il volume degli scambi è già quadruplicato. Se il surriscaldamento dovesse continuare, si troverebbe in una posizione strategica nel commercio mondiale, rafforzando l’asse Mosca-Pechino. Sebbene passi per stretti poco profondi, che rendono la navigazione difficile, e manca di infrastrutture portuali adeguate a svilupparsi, la Cina l’ha inserita nel progetto della Nuova Via della Seta, con la denominazione di via commerciale artica, un’opzione con cui cerca di eludere gli stretti di Malacca e Hormuz, sotto il controllo americano in Medio Oriente e nell’Indo-Pacifico.

Gli esploratori del passato sognavano un varco che permettesse di passare dall’Atlantico al Pacifico senza circumnavigare l’Africa o le Americhe, o che collegasse la Cina all’Europa senza transitare dal canale di Suez. Il sogno, o incubo per altri versi, si è avverato nel 2013, in anticipo di 40 anni rispetto alle previsioni, quando il primo carico di carbone fu portato dal Canada alla Finlandia, attraverso il passaggio a nord-ovest libero dai ghiacci. Nello stesso anno, un cargo cinese raggiunse l’Olanda, solcando l’Oceano Artico, per il passaggio a nord-est.

Queste rotte solleticano diversi appetiti. Canada, Danimarca e Russia sostengono si tratti delle loro acque territoriali. Rivendicandone la sovranità, legittimerebbero la riscossione di pedaggi. Altri profitti deriverebbero dalla costruzione di infrastrutture o rompighiaccio che offrano assistenza alle navi in questi pericolosi tratti di mare. Ancora, studi informano che il 30 per cento delle risorse di gas naturale mondiale e il 15 per cento di petrolio siano sepolti sotto il pavimento oceanico della regione artica. Qui si trovano la miniera di carbone più settentrionale della Terra – nell’isola di Spitsbergen dell’arcipelago delle Svalbard – ma anche depositi di terra e di mare di palladio, nichel, fosfato, bauxite e terre rare.

Con l’aumento della temperatura dei mari, pesci d’acqua fredda come i merluzzi, e la vasta famiglia degli halibut, migrano a nord, e con essi si spostano i pescherecci industriali. L’area attorno al Polo Nord, il buco di una ciambella multistato che include Stati Uniti, Russia, Norvegia, Groenlandia e Canada, è destinata a divenire sempre più contesa a mano a mano che la fusione dei ghiacci ne faciliterà l’accesso. Nel 2018, questi paesi, oltre a Europa, Cina e Giappone, hanno stipulato un accordo per istituire una riserva di 2.8 milioni di chilometri quadrati in cui la pesca sia vietata per i prossimi 16 anni, mentre si effettuano ricerche sullo stato delle già esigue riserve ittiche.

L’Artico, in dieci anni, è anche divenuto mira di forti interessi geopolitici. I vicini polari sono Canada, Stati Uniti, Russia, Finlandia, Svezia, Norvegia e Groenlandia. Russia e Stati Uniti quasi si toccano, separati solo dagli 82 chilometri dello Stretto di Bering. Il 96 per cento dei depositi di platino della Russia, così come il 90 per cento di quelli di nichel e cobalto, e il 60 per cento di quelli di rame, si trovano nell’Artico, da cui in aggiunta al gas naturale il paese ricava il 10 per cento del suo prodotto interno lordo. È l’unico punto del globo, dove tutte le attuali potenze sono dirette protagoniste: Stati Uniti, Cina e Russia. Canada, Danimarca, Islanda, Norvegia e Italia, mantengono alta la guardia, mediante la sottoscrizione di accordi di natura diplomatica ed economica. Cina, India, Giappone, Corea del Sud e Singapore sono, dal 2013, osservatori permanenti del Consiglio Artico, l’organo intergovernativo che gestisce le politiche della regione. La Cina punta alle miniere di zinco e le terre rare della Groenlandia. Ha dichiarato la propria vicinanza alla questione dell’Artico e ha iniziato a costruire navi rompighiaccio, a scopo di ricerca.

Reiterate dispute territoriali inaspriscono, quindi, i rapporti internazionali fra gli attori dello scacchiere polare. L’Artide, al contrario dall’Antartide, non è stato oggetto di alcuna disciplina internazionale di tipo pattizio. I contrapposti interessi vanno, dunque, contemperati nel contesto della Convenzione Onu sul Diritto del Mare (1982), secondo la quale i paesi litoranei possono reclamare diritti di sfruttamento sui giacimenti marini entro la zona economica esclusiva, a condizione che dimostrino che i fondali artici sono il prolungamento della loro piattaforma continentale. Tale limite esterno è fissato in 200 miglia marine. Qualora invece il bordo esterno del margine continentale non rientri in questa soglia, l’articolo 76 prevede due criteri alternativi: uno fa leva sulla linea di settore, l’altro sulla linea mediana. A ogni modo, è stabilito un limite che entrambi i metodi non possono superare, consistente in una linea tracciata a 350 miglia marine dalla linea di base o in una linea tracciata a 100 miglia dalla isobata dei 2.500 metri. Ne consegue che ogni entità, avente diritto, ha facoltà di scegliere il metodo e il criterio più favorevole, e si è aperta una corsa per suffragare, dinanzi all’organismo tecnico della Convenzione, le rivendicazioni sul Mare Artico.

Il Canada ha inoltrato alle Nazioni Unite una domanda di estensione dei confini settentrionali, sul presupposto che la dorsale di Lomonosov colleghi lo zoccolo continentale canadese al Polo Nord. Tra Canada e Stati Uniti esiste un contenzioso inerente alla delimitazione della piattaforma continentale nel mare di Beaufort: i canadesi vorrebbero una demarcazione lungo la linea di settore del 141° di longitudine; gli statunitensi propendono, invece, per l’impiego del criterio della linea mediana. Russia e Norvegia hanno formalizzato richieste di estensione della giurisdizione territoriale fino al limite massimo delle 350 miglia marine. Ciò mentre tra le due pende una controversia sulla delimitazione della piattaforma continentale nel mare di Barents: i norvegesi sostengono il criterio della linea mediana, i russi quello della linea di settore. La Danimarca avrebbe prove che vorrebbero la piattaforma continentale groenlandese collegata al Polo, attraverso le dorsali sottomarine di Lomonosov e Mendeleev, che originerebbero dall’arcipelago della Severnaya Zemlya.

Queste demarcazioni sono un rompicapo per i giuristi internazionali. Il problema, però, sta proprio nel dettato dell’articolo 76 che, prevedendo parametri alternativi per la circoscrizione dei confini, contrappone punti di vista divergenti. Nondimeno, l’autonomia degli stati costieri di stabilire i propri limiti alla piattaforma continentale oltre le 200 miglia marine finisce per scontrarsi con gli interessi di coloro che hanno goduto di aree marittime storicamente riconosciute. La Commissione, finora, non è riuscita a dirimere alcun caso, poiché, quando le richieste di sovranità riguardano la medesima dorsale oceanica, devono essere gli stessi contendenti a trovare un accordo, con la supervisione di tutti i firmatari della Convenzione.

La traduzione di queste tensioni è lo sviluppo dell’attività militare. Nell’isola di Alexandra Land, nell’arcipelago russo di Franz Josef Land, procede la costruzione della base Arctic Trefoil che ospiterà 150 militari pronti ad affrontare situazioni di isolamento in turni di 18 mesi. Gli Stati Uniti progettano una nuova classe di rompighiaccio per il controllo delle coste e le esercitazioni di personale militare in condizioni di freddo estremo. Con l’aumento delle attività industriali nell’area, i contingenti militari americani avranno mansioni legate al pattugliamento. Gli Stati Uniti si sono anche mossi, organizzando esercitazioni aeree con la Norvegia, paese della Nato confinante con la Russia. Con gli alleati canadesi stanno sperimentando motoslitte per lo spostamento silenzioso di truppe sulla calotta artica. La Francia ha inviato navi da guerra a testare le acque del Circolo Polare.

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