Almanacco: Operazione Piombo Fuso / Conflitto israelo-palestinese

Iniziata con un raid aereo il 27 dicembre 2008, con perdite stimate, in quella sola data, tra 200 e 300, e 700 feriti riportati da centri medici palestinesi, l’operazione Piombo Fuso, dalla notte del 3 gennaio 2009, proseguì con una mobilitazione via terra nella striscia di Gaza. L’avanzata avvenne poche ore più tardi che il primo ministro Ehud Olmert aveva messo in guardia i militanti di Hamas contro il “pugno di ferro” che si sarebbe abbattuto su di loro. L’intento dichiarato era quello di ripristinare la sicurezza di zone dello stato di Israele, minacciate da razzi, e neutralizzare Hamas, eliminando il maggior numero possibile di capi militari e distruggendo i supporti logistici, comprese le postazioni di lancio, e la rete sotterranea di tunnel, per impedire o rallentare l’approvvigionamento di armi. Il 17 gennaio, dopo la risoluzione dell’Onu, che l’8 dello stesso mese aveva esortato il ritiro delle truppe, Israele dichiarò una tregua unilaterale, con la precisazione di aver raggiunto e superato gli obiettivi prefissati. Il giorno seguente, anche le milizie palestinesi annunciarono un cessate il fuoco.

Nonostante ciò, gli assalti dell’esercito israeliano proseguirono con bombardamenti, sparatorie e uccisioni; nelle giornate successive, missili palestinesi colpirono città israeliane. Le fonti di Israele parlarono di 500-600 morti; quelle palestinesi ne riportarono, al 18 gennaio, quasi 1.400 – fra cui oltre 400 minori di quattordici anni, donne, anziani, soccorritori e giornalisti – e quasi 5.500 feriti. Secondo le Forze di difesa israeliane (Idf per la sigla in inglese), i palestinesi deceduti sarebbero stati tra 1.100 e 1.200, tutti miliziani di Hamas. Pur con l’intenzione di colpire obiettivi militari, il numero di civili palestinesi caduti fu alto, per l’assenza di adeguati rifugi e l’elevata densità della popolazione. La violenza, tuttavia, andò avanti senza sosta, sebbene il numero delle vittime continuasse a salire. A fine novembre, il presidente dell’assemblea generale delle Nazioni Unite, Miguel d’Escoto Brockmann, paragonò la condizione dei palestinesi all’apartheid in Sudafrica. I rappresentanti di Israele protestarono, accusandolo di “odiare Israele”. L’inasprirsi delle ostilità, di fatto, congelò il difficile processo di pace nella regione.

La dinamica bellica venne influenzata dalla superiorità tecnologica e quantitativa dell’Idf. Queste dispongono di 176.500 unità attive, e 445.000 di riserva, quando i palestinesi sono tuttora privi di un’organizzazione statuale tipica e non hanno un esercito regolare. Si calcola che, al 2007, avessero una forza totale di 42 mila unità, alle quali si sommavano, però, le ali armate di Hamas e la jihad islamica. L’equipaggiamento di Israele comprende una vasta gamma di mezzi corazzati, pezzi d’artiglieria, missili, aeroplani, elicotteri e navi da guerra. Dal 1967, il principale fornitore è il governo americano. L’attrezzatura viene sottoposta a miglioramenti nei laboratori di ricerca locali e diverse aziende hanno raggiunto un avanzamento tale da arrivare a vendere agli Stati Uniti. Israele, inoltre, gestisce grandi quantitativi di scorte, in dotazione dell’ex Unione Sovietica, catturati a paesi limitrofi, nel corso del pluridecennale conflitto arabo-israeliano. Alcuni degli armamenti delle milizie palestinesi, come i razzi Qassam e al-Quds, vengono fabbricati in maniera artigianale e non dispongono di un sistema di guida, altre sono fornite dall’Iran, fra cui quelle a lunga gittata usate per colpire Tel Aviv.

A ottobre, il Consiglio per i diritti umani dell’Onu, dopo intense ricerche sul terreno per accertare i fatti, approvò il rapporto diretto da Richard Goldstone, di religione ebraica, già procuratore capo dei tribunali penali internazionali delle Nazioni Unite per l’ex Jugoslavia e il Ruanda, con il quale Israele si rifiutò di cooperare, in cui si intimava la rimozione il blocco alla striscia di Gaza, affermando che la Corte penale internazionale avrebbe dovuto indagare nel merito, e si imputava allo stato ebraico di aver causato il deterioramento dei rapporti con Hamas. Grazie al lavoro di giornalismo investigativo di The Guardian, venne poi alla luce una relazione confidenziale dell’Unione europea, datata 15 dicembre 2008, dove si indicava Israele come responsabile di mettere in atto politiche edilizie favorevoli alla popolazione ebraica, e discriminatorie nei confronti di quella palestinese, atte a incentivare l’annessione di Gerusalemme Est e l’ulteriore espansione di insediamenti nei territori occupati.

Un’indagine di Amnesty International arrivò alla conclusione che, durante i 22 giorni dell’operazione Piombo Fuso, l’Idf aveva ucciso civili inermi, senza possibilità di fuga, distrutto 3 mila abitazioni e danneggiate altre 20 mila, mediante aggressioni che trasgredivano le leggi di guerra, e mandando in rovina una situazione economica critica in precedenza. La distruzione fu indiscriminata e non motivata da alcuna “necessità militare”. Amnesty International riscontrò che le vittime non erano rimaste uccise nel fuoco incrociato tra miliziani palestinesi e soldati israeliani e non stessero nascondendo obiettivi militari o terroristi. Molte furono colpite nel sonno, mentre sedevano in cortile o stendevano il bucato. Bambini furono colpiti giocando nel proprio letto o all’esterno delle case. Personale medico e mezzi di soccorso vennero presi di mira nel tentativo di soccorrere i feriti.

Tra le varie raccomandazioni, Amnesty International fece appello alla comunità internazionale di sospendere i trasferimenti di forniture e assistenza militare alle parti in causa, sin quando vi sarebbe stato il rischio sostanziale che potessero essere usate per commettere gravi violazioni del diritto umanitario. Chiese a Israele di impegnarsi a non condurre attacchi diretti o sproporzionati contro i civili, non usare artiglieria, mortai e fosforo bianco, in aree densamente popolate, e a porre termine al blocco della Striscia di Gaza, considerato un’ingiustificata punizione collettiva. Ad Hamas venne sollecitato di porre fine al lancio di razzi contro i centri abitati israeliani e a impedire ad altri gruppi armati palestinesi di compiere simili offensive.

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