Ruby Bridges

All’età di sei anni, Ruby Bridges dette una significativa spinta in avanti alla causa dei diritti civili negli Stati Uniti, diventando nel novembre del 1960 la prima studentessa afroamericana a essere ammessa in una scuola elementare per bianchi. Nata l’8 settembre del 1954, era la maggiore dei cinque figli di Lucille e Abon, contadini di Tylertown in Mississippi, trasferitisi in Louisiana, alla ricerca di migliori opportunità lavorative.

L’anno di nascita di Ruby coincise con la storica sentenza della corte suprema degli Stati Uniti, nella causa Brown contro il consiglio per l’istruzione di Topeka in Kansas, che mise fine alla segregazione razziale del sistema scolastico pubblico. Nonostante ciò, il sud resisteva all’integrazione e Ruby frequentava una scuola dell’infanzia di New Orleans per soli afrodiscendenti. Un anno più tardi, tuttavia, la corte federale impose alla Louisiana di mettere fine alla separazione degli studenti su base razziale. Il distretto scolastico predispose esami di selezione per valutare se i bambini neri fossero all’altezza di competere sul piano accademico con i bianchi. Ruby e altri cinque superarono la barriera.

I genitori erano combattuti riguardo al suo ingresso nell’istituto William Frantz, a pochi isolati dall’abitazione dove vivevano. Il padre, in particolare, oppose resistenza, in quanto temeva per la sicurezza della figlia; la madre, invece, era convinta che Ruby avesse diritto a quelle opportunità educative negate nell’ambito del loro contesto socioeconomico. Il William Frantz temporeggiò, nella speranza che i Bridges desistessero. Due degli altri studenti, infatti, avevano deciso di rimanere nella vecchia scuola, e gli altri tre erano stati inseriti in un altro istituto. Ogni giorno per un anno, Ruby e sua madre vennero scortate da quattro agenti federali da casa a scuola, passando attraverso due ali di folla che urlava insulti e minacce. La bambina non si lasciò intimidire, solo dichiarò di aver avuto paura quando vide una donna brandire una bambola nera in una cassa da morto.

Passò il primo giorno nell’ufficio del preside, per il caos provocato da genitori bianchi inferociti che ritiravano i figli dalle lezioni. Gli estremisti non riportarono mai più i figli al William Frantz. Barbara Henry, originaria di Boston, fu l’unica maestra disposta ad accettarla, e le impartì lezioni in forma individuale per un intero anno scolastico. Ruby pranzava da sola e, durante la ricreazione, giocava con la sua insegnante, ma non fece nemmeno un’assenza. Mentre ci furono delle famiglie che appoggiarono i Bridges, e persone dal nord del paese inviarono aiuti economici per sostenerli, in molti accesero proteste in tutta la città. Il padre perse il lavoro e i negozi locali si rifiutarono di vendere generi alimentari alla madre. I nonni vennero sfrattati dalla fattoria in cui avevano vissuto e lavorato per venticinque anni.

Nel tempo, altri studenti afroamericani si sono iscritti a quella scuola, così come i quattro nipoti di Ruby. Nel 1964, l’artista Norman Rockwell ne ha celebrato il coraggio con un dipinto dal titolo “Il problema con cui tutti viviamo”. Ruby Bridges si è diplomata, è diventata un agente di viaggi, si è sposata e ha avuto quattro figli. Nella metà degli anni novanta, si è rincontrata con la sua maestra e, per un periodo, hanno dato insieme conferenze e partecipato a eventi per ricordare la violenza del segregazionismo e continuare a sostenere l’agenda dell’uguaglianza. Ha creato una fondazione per promuovere la tolleranza e generare il cambio attraverso l’educazione. Ha scritto anche un libro sulla sua esperienza, insignito del premio letterario Carter G. Woodson.

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