Giornata internazionale della pace

La guerra viene definita dai principali dizionari come “un contrasto armato tra nazioni o tra differenti gruppi all’interno di un paese”, “una competizione fra diversi popoli o gruppi”, o “una campagna sostenuta contro una situazione indesiderabile”. Le cause scatenanti spaziano da interessi economici e territoriali, a sentimenti identitari e religiosi, fino a rivoluzioni di assetti sociali e politici, e definizione o mantenimento di sfere di influenza. Gli stati esposti a violenza prolungata nel tempo richiedono decenni per la ricostruzione dell’infrastruttura fisica e democratica e del tessuto comunitario.

Spesso si pensa che la pace sia più diffusa di quanto lo sia in realtà, perché esistono conflitti che non vengono formalizzati, mediante dichiarazioni ufficiali. Allo stesso modo, non tutti i combattimenti in atto sono assimilati alla guerra. Per fare chiarezza, l’Università di Uppsala ha stabilito un criterio secondo il quale un confronto, nel quale sia coinvolta una nazione, e che produca almeno 1.000 morti in un anno, in condizioni di assetto militare o a questo comparabili, è classificabile come conflagrazione bellica. La cifra include sia i soldati e i paramilitari, abbattuti in azione, sia i civili uccisi in forma deliberata, per esempio in conseguenza di bombardamenti o altro tipo di attacco.

Nella categoria da 1.000 a 10.000 fatalità, nel periodo 2020-21 (settembre), rientrano 17 paesi: Algeria, Burkina Faso, Cameroon e Chad (insorgenza terroristica), Colombia (cartelli del narcotraffico e guerra civile), Repubblica Democratica del Congo e Iraq (insorgenza terroristica), Libia e Mali (guerra civile e insorgenza terroristica), Mozambico (insorgenza terroristica), Myanmar (guerra civile), Niger e Nigeria (insorgenza terroristica), Sud Sudan (violenza etnica), Siria (guerra civile), Tanzania e Tunisia (insorgenza terroristica). In quella da 10.000 e oltre, invece, per lo stesso periodo, se ne annoverano almeno 5: Afghanistan, dal 1978, 30.936 perdite confermate solo nel 2020 (guerra civile e insorgenza terroristica, con la partecipazione degli Stati Uniti); Etiopia, dal 2020, 50 mila perdite stimate (guerra civile, con la partecipazione dell’Eritrea, ed effetti a catena in Sudan e Somalia); Messico, dal 2006, 350 mila perdite e 72 mila desaparecidos a maggio dell’anno scorso (cartelli del narcotraffico); Yemen, dal 2014, 140 mila perdite (guerra civile, con la partecipazione dell’Arabia Saudita); Ucraina, dal 2014, cifre contradditorie sulle perdite, per alcune fonti intorno alle 30 mila nel 2022 (guerra civile e conflitto territoriale con la Russia, con la partecipazione di Stati Uniti e Unione Europea).

Secondo il progetto Acled, che ha sede negli Stati Uniti, e ha come obiettivo l’analisi dei conflitti, dal 30 luglio 2020 al 30 luglio 2021, nel mondo, sono scoppiate quasi 100 mila situazioni di belligeranza, tra sommosse, scontri armati, proteste, violenze contro civili e attentati. L’incremento è stato del 3 per cento e le vittime sono aumentate di oltre il 37.

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