Grandi momenti della storia: gli accordi di Bretton Woods

Con la seconda guerra mondiale iniziò un processo di mutamento dei rapporti di forza tra Stati Uniti e Gran Bretagna, e tra il resto del mondo e gli Stati Uniti, infine concretatosi nella loro egemonia. Tale cambiamento si fondò prima su un’intensa attività industriale, in contrappunto a un’Europa devastata dalla povertà, in cui l’infrastruttura produttiva era stata quasi azzerata dal conflitto, e poi sulla difesa degli interessi economici americani nella creazione delle organizzazioni internazionali deputate al governo monetario e commerciale.

Nel dopoguerra, il Regno Unito puntava alla ripresa  attraverso la difesa del commercio preferenziale all’interno del Commonwealth, ma gli Stati Uniti usarono gli aiuti per gli alleati, da 42 miliardi di dollari, del programma Lend-Lease, come pretesto per indebolire il protezionismo imperiale britannico. Mentre quest’ultimo discriminava i prodotti dei paesi che non erano parte del meccanismo, gli statunitensi promossero l’adozione della dottrina open door, ovvero la liberalizzazione degli scambi.

Nel luglio del 1944, a Bretton Woods, si riunirono 44 nazioni per stabilire le regole necessarie per gestire gli accordi commerciali e finanziari globali, come sarebbero state applicate e chi le avrebbe salvaguardate. In passato, il sistema aureo aveva ancorato i tassi di cambio, al fine di evitare fluttuazioni e assicurare relazioni economiche stabili, ma la rigidità del sistema spesso induceva ad adottare opzioni inflazionistiche. L’unilateralismo americano si affermò, mantenendo alto il valore dell’oro e agganciandovi il dollaro, che divenne il gold standard (35 dollari/oncia) per determinare i tassi e il punto di riferimento per ogni operazione.  Per molti paesi, fu una scelta necessaria, in cambio l’Unione Sovietica uscì dagli accordi nel 1945.

Nel 1947, venne istituito il Fondo Monetario Internazionale (Fmi), il cui compito era quello di garantire liquidità sufficiente per lo svolgimento delle transazioni commerciali. Venne anche fondata la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo, con una capitalizzazione di 10 miliardi di dollari, per prestiti alle zone colpite dal conflitto. Con l’obiettivo di arginare la minaccia dell’inflazione, al completamento della ricostruzione e la fase di rilancio, sarebbero state imposte, ai membri del Fmi, misure di austerità per evitare l’oscillazione dei prezzi. Il fattore critico per le decisioni fu il peso geopolitico statunitense, proporzionale al suo contributo economico, che garantì al dollaro il ruolo di moneta di riserva.

Il multilateralismo commerciale, alla cui piena realizzazione contribuì l’Accordo Generale sulle Tariffe Doganali e sul Commercio, intendeva avversare il nazionalismo economico. Questo venne ideologicamente identificato come una causa fondamentale dello scoppio della guerra, in contrapposizione alle politiche di libero mercato, sinonimo di sicurezza e pace, nonché della promessa di un benessere diffuso che avrebbe garantito la salvaguardia dei diritti umani. L’Accordo Reciproco di Libero Scambio, riguardante il taglio dei dazi, e la Carta dell’Organizzazione Internazionale del Commercio, continuarono e rafforzarono l’applicazione di principi liberisti alle relazioni commerciali. Ciò venne presto trasformato in un’arma diplomatica in chiave antisovietica, nel contesto della guerra fredda e la lotta al comunismo, per assicurare la continuità del mondo occidentale capitalista.

L’infrastruttura globalizzata, inizialmente, fu inapplicabile, a causa dello scenario di distruzione del dopoguerra. Quindi, si preferì optare per un’organizzazione economica regionale in circuiti circoscritti, irrorati dal European Recovery Program o Piano Marshall. Il sistema si sarebbe riaffacciato più tardi, quando le condizioni economiche mondiali si erano rese mature.

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