La matematica dell’immigrazione

Leonid Bershidsky, sull’agenzia Bloomberg, calcola che l’Europa avrebbe bisogno di altri 42 milioni di cittadini entro il 2020 e di oltre 250 milioni entro il 2060.  L’età media sale nel continente, la popolazione invecchia, e giovani occupati sono indispensabili per reggere il crescente costo sociale delle pensioni.  Secondo un rapporto dell’Ue, quattro persone lavorano per ciascun pensionato.  Nel 2050, saranno soltanto due.  I nuovi europei da trovare entro cinque anni servirebbero a mantenere la bilancia dei conti.

Considerando il calo demografico e l’aspettativa di vita, una ricerca divulgata quest’anno dai Radicali Italiani prevede che per garantire stabilità nella fascia attiva dai 15 ai 64 anni, nel nostro paese ci dovrà essere un aumento di immigrati di circa 1.6 milioni nell’arco del prossimo decennio, equivalente al 35.1 per cento.  Per salvaguardare la forza lavoro utile per assicurare la capacità produttiva e rendere sostenibile il sistema previdenziale, è necessario un flusso di ingressi di 158 mila persone nel 2020 e di 132 mila nel 2025, ovvero 157 mila migranti all’anno per i prossimi dieci anni.

Uno studio di Confindustria ha valutato il contributo degli immigrati regolari al prodotto interno lordo nazionale.  Dal 1998 al 2007 è asceso del 14.4 per cento in termini reali – 1.5 per cento in media all’anno, ma senza gli stranieri sarebbe salito solo dello 0.5 per cento.  Nei successivi sette anni di crisi economica (dal 2008 al 2015) è diminuito del 7.3 per cento, ma sarebbe sceso del 10.3 per cento senza gli immigrati.  Il contributo di questi lavoratori ha raggiunto i 98 miliardi di euro nel 2008, pari al 6.5 per cento del totale, in aumento rispetto al 2.3 per cento del 1998.  L’incremento spiega il 37.4 per cento dell’espansione del reddito prodotto dal 1998 al 2008.  Il loro peso economico ha continuato a ingrandirsi durante la crisi, superando i 120 miliardi nel 2015.

Il presidente dell’Inps, Tito Boeri, in un’audizione alla commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema di accoglienza dei migranti dello scorso luglio, ha spiegato che i regolari versano ogni anno 8 miliardi di contributi sociali e ne ricevono 3 in termini di pensioni e altre prestazioni sociali, oltre a un gap salariale tra immigrati e nativi di circa il 15 per cento a sfavore dei primi, e con un saldo netto di circa 5 miliardi per le casse dell’Inps.  I dati evidenziano che gli immigrati sono sempre più giovani.  Gli under 25 che contribuiscono all’Inps come dipendenti è passata dal 27.5 per cento del 1996 al 35 per cento del 2015.  Se nel 2007 il 68 per cento dei nuovi permessi di soggiorno veniva concesso a stranieri con meno di 35 anni oggi questa percentuale è salita all’80 per cento.  Un aumento del numero di bambini italiani avrebbe effetto sul sistema pensionistico solo nel lungo periodo, perché occorrerebbe aspettare che neonati raggiungano l’età per poter contribuire attivamente al sistema previdenziale.

Non si tratta certo di aprire indiscriminatamente le frontiere.  I migranti sono una risorsa solo nel momento in cui si garantisce l’integrazione, come del resto l’Italia ha dimostrato di saper fare in base ai numeri di Confindustria e Inps.  La gestione dei volumi stimati per il futuro equilibrio economico e finanziario, attraverso selezione e appaiamento di skills nel mercato del lavoro, presuppone però soluzioni di sistema che l’odierna classe politica non pare in grado di esprimere.

 

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