Spazi strategici: lo stretto di Malacca

Lo stretto di Malacca, fra la penisola della Malesia e l’isola indonesiana di Sumatra, è gestito da Singapore. Prende il nome dal sultanato che regnò sull’arcipelago dal 1400 al 1511. Si trova fra gli oceani Indiano e Pacifico ed è una delle maggiori rotte commerciali al mondo di materie prime e per lo sviluppo dell’energia.

Essendo la via più breve fra il Medio Oriente e l’Asia orientale, permette di ridurre tempi e costi di trasporto fra Asia, Medio Oriente ed Europa. Secondo l’agenzia di informazione sull’energia degli Stati Uniti, più del 30 per cento del greggio transita per il mare cinese meridionale e oltre il 90 per cento di questo per i 930 chilometri di lunghezza dello stretto di Malacca. Tali cifre rappresentano volumi ingenti, superati solo dal traffico per lo stretto di Hormuz.

La pirateria, acuitasi a partire dagli eventi dell’11 settembre 2001, è sempre stata uno dei grandi problemi dello Stretto di Malacca. Dopo un sensibile incremento nel 2004, i vettori hanno militarizzato la sicurezza a bordo e il numero degli attacchi è calato, ma il fenomeno non è stato debellato. Altri rischi connessi alla traversata sono dovuti alla profondità ridotta, complicata da sedimenti e secche, e la riduzione della visibilità fino a 200 metri, per foschie, e il fumo procedente da incendi boschivi spontanei, che si danno a Sumatra. Queste condizioni avverse hanno provocato 34 affondamenti, l’ultimo quello del destroyer John S. McCain della marina degli Stati Uniti, nel 2017. Il tasso di incidenti è doppio rispetto al canale di Suez e quattro volte superiore a quello del canale di Panama.

I mercanti dall’Arabia, l’Africa, la Persia e i regni del sud dell’India, fino al VI secolo, usarono i porti di Kedah e Funan, sulla penisola malese, dove arrivavano, fra giugno e novembre, con il favore dei venti, nella stagione dei monsoni. Parte delle merci venivano vendute in loco o inviate ai porti orientali di Langkasuka and Kelantan. Poi continuavano in direzione dell’antico mercato di Guangzhou, in Cina. Scambiavano oggetti di vetro, canfora, stoffe di cotone, broccati, avorio, legno di sandalo, profumi e pietre preziose, per fare ritorno nei luoghi di origine fra dicembre e maggio.

Nel VII secolo, la potenza marittima di Srivijaya, con base a Sumatra, espanse la propria influenza alla penisola malese e Java, creando un impero. Con raid militari, continui e mirati, diretti ai principali porti sulle due sponde, ottenne il dominio degli stretti di Malacca e Sunda, i due principali choke points del sud-est asiatico. La sua prevalenza economica nella regione durò 700 anni, grazie al sistema tributario al quale assogettò il commercio delle spezie. La rilevanza dello stretto di Malacca, come collegamento fra l’India e la Cina, continuò con il sultanato di Malacca e quello di Johor, fino XVIII secolo. L’epoca coloniale, iniziata con la conquista di Malacca da parte dei portoghesi, vide diverse nazioni europee – Portogallo, Paesi Bassi, Francia e Regno Unito – disputarsi l’egemonia dell’area. Agli inizi del XIX secolo, olandesi e britannici disegnarono un’arbitraria linea di demarcazione nello stretto, con l’impegno di combattere i pirati ognuno dal rispettivo lato. Questa divenne l’attuale confine tra la Malesia e l’Indonesia.

Nel 2003, Hu Jintao descrisse la situazione della Cina con una frase che è rimasta nel linguaggio delle relazioni internazionali: “il dilemma di Malacca”, riferendosi alla vulnerabilità del paese, e la mancanza di alternative, in caso di un blocco navale che la tagliasse dai rifornimenti di idrocarburi da cui dipende. Il presidente cinese alluse al controllo degli Stati Uniti sulla navigazione nello stretto. Se questo avvenisse, la Cina non avrebbe abbastanza approvvigionamenti stoccati per funzionare oltre 60 giorni. Il 70 per cento delle importazioni della Cina di gas liquido e petrolio passano per lo stretto di Malacca. La sua importanza, tuttavia, non si limita alla sicurezza energetica: il 60 per cento del totale degli scambi marittimi cinesi ne fa uso.

Singapore, paese amico di Washington, nel 2019, ha firmato un protocollo di emendamento al memorandum di intesa del 1990, relativo all’uso di strutture nazionali. Con questi accordi, la VII Flotta degli Stati Uniti può attraversare lo stretto di Malacca, entrare nell’oceano Indiano e nel mar Arabico, e raggiungere la regione del Golfo in 24 ore. Hanno schierato armi e attrezzature avanzate e, in aggiunta, le navi, situate in tutti i porti dello stretto, possono essere utilizzate senza preavviso. Singapore deve arginare la Cina per mantenere il potere economico e finanziario, fornito dagli introiti prodotti dal passaggio nello stretto di Malacca, e l’utilizzo del suo porto como centro di smistamento e consegna, e ha bisogno di una presenza militare forte. Gli Stati Uniti, dal canto loro, ricorrono a Singapore, e altri alleati locali, per premere contro la Cina nella sua stessa area di influenza. Un ulteriore elemento di preoccupazione per la Cina deriva dal deterioramento delle relazioni con l’India che potrebbe essere un cruciale alleato nell’eventualità di un conflitto.

Beijing, in prima istanza, ha cercato di diversificare le fonti di energia e aumentare la quota di rinnovabili. Nondimeno, dal 2015, esiste un piano che potrebbe sparigliare gli equilibri: la costruzione di un canale nell’istmo di Kra in Tailandia (100 chilometri), che accorcerebbe il tragitto di mille chilometri, tagliando tempi e costi di spedizione. Questa opera di allacciamento con l’oceano Indiano andrebbe a vantaggio sia della Cina e l’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico, sia del Giappone e altri paesi, compresa l’Unione Europea. Le società di proprietà statale cinese, LiuGong Machinery Co. Ltd, XCMG e la privata Sany Heavy Industry Co Ltd, hanno creato un gruppo di esperti per valutare l’intervento.

Con la realizzazione del canale di Kra, il commercio navale dell’Asia orientale e del sud-est asiatico lascerebbe Singapore, che perderebbe la sua centralità e la protezione degli Stati Uniti. Nel 2020, la camera dei rappresentanti tailandese ha istituito una commissione per studiare un progetto, per il quale si spera nel contributo monetario e tecnico della Cina. Il canale, pur controllato da Pechino, trarrebbe benefici incommensurabili al paese. Basti pensare che la Cina è disposta a investire nella sua realizzazione, anche se i pedaggi fossero inferiori al costo di sviluppo. Aggirare la pressione sui rifornimenti di energia e prodotti alimentari, che non può  autoprodurre, e rompere l’isolamento, generato dal rivale, dalla catena di isole del Pacifico e il sud-est asiatico,  è un obiettivo vitale per Pechino.

La strategia militare cinese enfatizza l’importanza delle linee di comunicazione marittime per proteggere i diritti e gli interessi della nazione. Come negli ultimi vent’anni, così nei decenni a venire, l’élite del partito comunista concentrerà forzi nella supremazia navale per garantire la sicurezza del paese. Il contesto dello stretto di Malacca, e il futuro canale di Kra, è un caso geopolitico classico, nel quale si gioca il rango di superpotenza della Cina.

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