Lotta indigena in Brasile

 

“Molte terre e pochi indios”, afferma il presidente Jair Bolsonaro.  E più di qualcuno pensa che l’Amazzonia si possa occupare, aprendosi strada con le fiamme. Lo scorso agosto, in soli 28 giorni si sono registrati 28.104 incendi, dei quali il 23 per cento nella riserva naturalistica e il 4 per cento in aree indigene.  Nello stesso periodo del 2018, i terreni bruciati furono 7.974.  L’impresario agricolo, José Brasil de Oliveira,  è stato arrestato con l’accusa di aver devastato, negli ultimi mesi, 5.500 ettari nel Parà, tra l’altro, impiegando bande giovanili, per minacciare i funzionari incaricati del ministero dell’ambiente.  Secondo quanto comunicato dalla procura, in questo stesso stato, i piccoli proprietari terrieri simpatizzanti di Bolsonaro avrebbero celebrato il “giorno del fuoco”.  Il ritmo del disboscamento in Brasile, da gennaio a luglio, è aumentato del 50 per cento, a paragone dell’anno passato.  Sparisce un equivalente di tre campi di calcio al minuto.

In Brasile, dove si trova il 63 per cento dell’Amazzonia, la pressione antropica non si è mai fermata.  Il nefasto precedente della riduzione al 10 per cento del bosco atlantico, per l’avanzata della produzione del cacao e del caffè nel XIX e XX secolo, ha spinto al disegno, nel 1988, di un programma di monitoraggio satellitare, e di politiche per la sua salvaguardia, nel 1992.  Nonostante ciò, i trafficanti di legname sono arrivati a controllare vaste fette di territorio, la coltura intensiva della soia transgenica si è ampliata a un ritmo sostenuto, e il settore estrattivo ha ottenuto e rinnovato concessioni, con l’appoggio di tutti i governi che si sono succeduti.  Senza l’intervento dei gruppi ambientalisti, e la resistenza dei 300 popoli originari che la abitano, la foresta amazzonica sarebbe scomparsa nel giro di un paio di generazioni.

La nuova amministrazione ha allentato la sorveglianza in maniera deliberata, diminuiti del 70 per cento in rapporto al 2018, dando inizio a un’era di depredazione, che azzera gli sforzi sinora sostenuti.  Bolsonaro si è profuso in accuse di una presunta psicosi climatica e ambientalista.  La destra, sostenuta dal presidente, fomenta pericolose tensioni sociali, contestando il diritto sancito dall’articolo 231 della costituzione del 1988 all’uso esclusivo di luoghi ancestrali per un 14 per cento del suolo nazionale.  Nel tempo, ne sono stati regolarizzati 567 per un’estensione di 117 milioni di ettari, con appositi decreti che possono essere firmati solo dal presidente della repubblica, altri 115 sono allo studio della Fondazione Nazionale dell’Indio (Funai per la sigla in portoghese).  Troppi ancora non sono tutelati e la costruzione delle strade transamazzoniche li spacca, favorendo la penetrazione dei bianchi, mentre gli indigeni reclamano la demarcazione ad area continua, in conformità al principio di salvaguardia etnica.

Nella retorica governativa, l’agricoltura massiva e lo sfruttamento minerario sono la chiave per disincagliare l’economia.  Per tale ragione, come spiega Carlos Macedo, esperto indigenista, a lungo collaboratore delle maggiori istituzioni nazionali e regionali, “si è prima provato a migrare la responsabilità della delimitazione di queste terre dalla Funai al ministero dell’agricoltura, il cui titolare è affiliato alla lobby agro-industriale, e quando lo stato di diritto non lo ha permesso, l’esecutivo ha posto un blocco alla loro registrazione nel catasto, e di conseguenza all’applicazione dei diritti giuridici dei soggetti autoctoni.  In un tentativo di ristrutturazione, la Funai è stata poi trasferita dal dicastero di giustizia a quello dei diritti umani, a carico di una ministra sotto inchiesta per incitazione al razzismo”.  “Quello che ha allarmato la base indigena”, aggiunge Macedo, “sono i progetti di legge 187 e 343 disegnati per modificare la costituzione, togliere alla supervisione della Funai un 50 per cento di aree identificate come ancestrali e permetterne l’affitto e la conduzione da parte di investitori del business agro-forestale ed estrattivo.  Le risorse dell’Amazzonia sono state tutte mappate e si stimano 86 miliardi di tonnellate di depositi di carbone, oltre a oro e diamanti.  Il saccheggio è stato fermato proprio dalle demarcazioni”.

All’indomani della sua elezione, Bolsonaro aveva annunciato l’intenzione di avviare esplorazioni nella ricca Raposa Serra do Sol, certificata dalla Funai nel 1990, delimitata dal governo di Cardoso nel 1995-2003, e omologata come zona speciale dal presidente Lula nel 2005, al finale di un iter di quindici anni e una battaglia indigena molto più lunga.  Aveva anche designato la segreteria per i fondi agricoli e l’istituto nazionale di riforma agraria, dirette da impresari brasiliani, al coordinamento ed esecuzione delle decisioni del governo sulle terre indigene.

I toni di questo discorso pubblico, e le sue chiare intenzioni, istigano e giustificano irruzioni ed espropri illeciti, e hanno condotto alla morte di un capo wajapi, e l’intimidazione e il ferimento di altri di cui ogni giorno vengono riportate notizie, in un clima di crescente isolamento delle popolazioni originarie.  Emyra Wajâpi, che guidava quaranta comunità, è stato con probabilità torturato e affogato da una squadra di garimpeiros – cercatori di pietre preziose che incursionano in aree che dovrebbero essere off limits.  “Gli aborigeni amazzonici”, continua Carlos Macedo, “rappresentano micro-società vulnerabili su cui si esercitano forti sollecitazioni culturali ed economiche.  Si tratta di piccoli nuclei dal punto di vista demografico, e oltremodo sparsi da quello geografico, in confronto ai territori che dovrebbero poter gestire, quando gli aggressori hanno equipaggiamento militare e nessuno scrupolo.  Sono, oltre al resto, oggetto di strumentalizzazione politica su molteplici versanti.  In preparazione al voto dei progetti di legge, il governo ha cercato di captare per via mediatica alcuni leader comunitari e così dividerli”.

Gli indigeni del Brasile, circa un milione di persone, sono in fermento.  Alcuni villaggi si stanno armando per difendersi dagli attacchi.  “La situazione provocata dal governo”, afferma Macedo, “è simile a quanto già accaduto nel Mato Grosso, dove si sono esacerbati gli scontri per questioni legate all’accesso e la proprietà della terra e da anni è in atto un conflitto sanguinoso tra agricoltori poveri autoctoni e latifondisti bianchi padroni di fazendas impiantate su aree tradizionali”.  La marcha de las margaritas, manifestazione delle donne rurali del Brasile, alla sua sesta edizione, in omaggio alle contadine vittime di violenza, il 13 agosto ha assunto le dimensioni di una sollevazione anti-governativa di rilevanza nazionale.  Con lo slogan Territorio: nuestro cuerpo, nuestro espíritu, donne aborigene di venticinque stati si sono unite alla marcia per rivendicare il rispetto dell’identità dei popoli di appartenenza, denunciare “l’agenda distruttiva del governo di Bolsonaro”, e inoltrare una petizione formale a membri del parlamento.  Le manifestazioni sono continuate per una settimana con la partecipazione di vari attori della società civile.

Il 21 agosto, una delegazione mista di quaranta attivisti ha piantonato l’aula dove i progetti di legge 187 e 343 erano in discussione, dopo che la data della votazione era stata rimandata su richiesta di deputati indigeni e dell’opposizione, grazie a intense negoziazioni.  Al termine di una riunione di sei ore, nella quale ha partecipato la commissione costituzionale, e al grido di vittoria “Si alla demarcazione, no all’esplorazione!”, è stato raggiunto un accordo sull’inammissibilità e l’abrogazione della clausola della facoltà dello stato di affittare territori ancestrali.  “Abbiamo guadagnato un po’ di tempo per respirare”, ha detto alla stampa locale la congressista indigena Joênia Wapichana. “Sappiamo bene che non ci lasceranno in pace, ma la lotta continua”.

Intanto l’Amazzonia brucia anche in Perù, Bolivia, Colombia e Venezuela.  Organizzazioni indigene e ambientaliste dell’Ecuador, dove lo stato ha lanciato il programma Amazonía sin fuego, hanno dimostrato con forza contro gli incendi, 40 mila dall’inizio dell’anno, con un incremento dell’80 per cento.  Provocati da agenti della catena agroalimentare, per ricavare spazi al pascolo e al coltivo di soia, riso e canna da zucchero, o da speculatori, intenzionati a invadere e rivendere a caro prezzo, in tutti i paesi della conca amazzonica, non solo in Brasile, hanno creato un buco della superficie della Francia, ma è possibile preservarne il rimanente 80 per cento, se le azioni sono rapide e non regressive.

“Le relazioni fra i paesi amazzonici sono sensibili”, continua Macedo.  “Hanno uno scarso capitale negoziale l’uno con l’altro.  Se mi chiede quali sinergie si dovrebbero stimolare, aldilà delle istituzionali, come l’organizzazione del trattato di cooperazione amazzonica, il coordinamento dei popoli indigeni del bacino amazzonico e il foro permanente dei popoli indigeni, quello che io vedo è una concentrazione di potere fattuale negli Stati Uniti, in Cina, in Giappone, e in Europa. Un boicottaggio dei prodotti che esporta il Brasile sarebbe l’unico modo di invertire il trend.  Avrebbe potuto essere una proposta per il G7”.

L’accento dell’opinione pubblica e la stampa internazionale è stato posto sulla biodiversità e il clima.  L’umidità generata dalla fitta vegetazione condiziona il clima dagli Stati Uniti all’Argentina.  Le piogge permettono l’esistenza di grandi fiumi determinanti per l’economia dell’intero continente.  L’acqua del bacino alimenta le Ande a nord e influenza la calotta dei ghiacci del polo sud.  La sua capacità di assorbimento del gas serra ne fa un regolatore su scala terrestre, oltre a essere un santuario della biodiversità, con 16 mila specie di alberi e piante e 2.5 milioni di insetti.

L’Amazzonia, tuttavia, è in prima istanza la casa di individui, famiglie e comunità, che difendono il diritto a preservare il proprio stile di vita e la propria esperienza del mondo.  Ci sono anche indios del Brasile che non sono ancora stati contattati: si conoscono per ricognizioni aeree e sono circondati da cordoni sanitari.  Vivono come pescatori e raccoglitori, con un sapere immenso del proprio intorno naturale.  Dei 3 mila frutti che si stima crescano nella foresta, i popoli autoctoni ne sanno impiegare almeno 2 mila dall’alimentazione alla medicina.

In cambio, le emissioni di monossido di carbonio della combustione seminano gravi malattie respiratorie, se non la morte.  Le estrazioni di manganese, ferro e rame contaminano le acque di mercurio, minacciando i mezzi di sussistenza e la riproduzione fisica e culturale.  Lo sfruttamento boschivo e idrico senza freni, così come il bracconaggio e l’espansione della frontiera agricola, sottraggono territorio e depauperano le risorse.  La progressiva militarizzazione e la crescita esponenziale di abusi di autorità, stupri, prostituzione e alcolismo, pone a rischio sicurezza e sopravvivenza.  La povertà è un concetto che non esiste per gli indigeni, è il contatto con il nostro sistema economico che li rende tali, finendo per innescare un genocidio.

 

Questo articolo è stato pubblicato dalla testata giornalistica web di notizie e media Il Faro sul Mondo.

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3 thoughts on “Lotta indigena in Brasile

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  1. Bolsonaro ha finalmente dispiegato la protezione civile dell’esercito. Sono stati realizzati 571 interventi terrestri e 250 operazioni aree. Le autorità hanno annunciato l’arresto di 63 persone e l’emissione di multe per un totale di 8.7 milioni di dollari.

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