Wet’suwet’en: i difensori della terra

I Wet’suwet’en continuano a essere oggetto di una campagna di criminalizzazione e mantenuti sotto stretta sorveglianza da parte del governo provinciale canadese del British Columbia e lo stato federale. 

All’origine della disputa, il gasdotto che taglia in due le terre ancestrali di questa nazione autoctona. Nel 1997, i Wet’suwet’en vinsero un caso storico, con cui la corte suprema decretò che il loro titoli di proprietà aborigena non si sono estinti con la fondazione del Canada, e le massime autorità, fra cui le matriarche, dei cinque clan che li compongono, non hanno approvato la realizzazione dei lavori.

La Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni, ratificata dal British Columbia, stipula, con chiarezza, che questi debbano consultati, in un clima di cooperazione e buona fede, al fine di assicurarne il consenso per attività di tale indole. Secondo la Dichiarazione, il consenso deve avere le caratteristiche di essere libero, previo e informato. Ciò non è avvenuto, sebbene i Wet’suwet’en abbiano offerto la disponibilità per un percorso alternativo che avrebbe danneggiato in minor misura il loro territorio.

Con l’argomento secondo il quale il cambiamento dei disegni fosse troppo dispendioso, l’impresa appaltatrice ha interrotto la comunicazione e il governo provinciale, bypassando i capi riconosciuti, ha spostato il dialogo sui rappresentanti del consiglio provinciale indiano, un organo amministrativo locale, creato con l’Indian Act, che in nessun modo è sostitutivo delle autorità tradizionali, dato che la sua giurisdizione è limitata alle riserve. I Wet’suwet’en hanno definito lo stratagemma contraddittorio, lesivo e divisivo, ma alla loro resistenza è stato risposto con una violenza al pari dell’oppressione coloniale.

La protesta, appoggiata da espressioni del movimento ecologista, è sfociata in un’ampia ondata di dissenso per le scelte economiche e industriali dell’amministrazione di Justin Trudeau. I Gitxsan, i Tyendinaga Mohawk dell’Ontario, e altre importanti nazioni, sostengono la causa dei Wet’suwet’en, nel quadro della tesa relazione con lo stato, in merito all’autodeterminazione etnico-culturale e la sovranità territoriale, elementi parte di un vincolo indissolubile. Malgrado le dichiarazioni di Trudeau sulla diversità, e la promessa di estirpare la discriminazione, i leader indigeni denunciano una volontà sistematica di disautorizzare, spossessare, calpestare e impoverire.

Di fatto, la corte suprema del British Columbia, nel 2018 e poi nel 2019, ha emesso due ingiunzioni che vietano qualsiasi forma di avvicinamento nelle prossimità del tracciato del viadotto e permettono l’intervento delle forze dell’ordine. Queste sono state usate per autorizzare l’ingresso di contingenti militarizzati nelle terre dei Wet’suwet’en, che hanno condotto controlli pressanti, esercitato minacce, e allontanato persone con l’uso della forza, arrestato e incarcerato oltre 70 individui. Si è trattato di raid di grande scala, con la polizia a cavallo, la sicurezza privata dell’impresa, elicotteri, unità cinofile e armi d’assalto, contro persone inermi che manifestavano per i propri diritti. Nel corso delle operazioni, avvenute a gennaio del 2019, febbraio del 2020 e novembre del 2021, sono stati profanati spazi cerimoniali e abbattute costruzioni con i bulldozer o date alle fiamme. 

A luglio del 2022, diciannove Wet’suwet’en sono stati accusati di offese criminali dal governo provinciale per aver disobbedito all’ingiunzione del 2019 che, in pratica, vieta loro la libera circolazione nei propri possedimenti. Cinque si sono dichiarati colpevoli, a seguito delle pressioni subite, gli altri dovranno sottoporsi a processo a luglio, settembre e dicembre 2023, rischiando severe sentenze. Purtroppo, non è un caso isolato. L’anno passato ci sono già state condanne nell’ambito della nazione Tsleil-Waututh per aver difeso la terra e l’acqua delle comunità. La decisione, portata in appello a gennaio, rimane in attesa di un responso.

Il corpo normativo e i protocolli che garantiscono il diritto dei gruppi autoctoni ai territori tradizionali non hanno impedito reazioni illegali e fuori misura da parte di uno stato considerato un modello di democrazia e accoglienza. La repressione dei Wet’suwet’en, e altri difensori della terra in Canada, è in violazione di principi sanciti sul piano internazionale, ed è una patente dimostrazione di espropriazione coloniale e razzismo strutturali. I Wet’suwet’en hanno documentato gli avvenimenti, e li hanno sottomessi all’attenzione del relatore speciale delle Nazioni Unite per i popoli indigeni, in visita in Canada nel mese di marzo.

Le nazioni indigene sono colpite in maniera sproporzionata dalle conseguenze del riscaldamento globale, e i soprusi a cui sono sottoposte si fanno ancora più evidenti quando le loro rivendicazioni sono intrinseche alla giustizia climatica. Il degrado di ambiente e risorse, a causa di decisioni prese senza il loro consenso, che provocano la contaminazione di falde acquifere e bacini idrologici, mettono a rischio il ciclo della riforestazione e la riproduzione di specie animali, e consumano territorio senza discernimento, è spesso irreparabile.

 

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