Stati Uniti, Russia, Cina e l’effetto domino della corsa al nucleare

Ci sono avvenimenti che segnano il passo della geopolitica mondiale.  Il ritiro degli Stati Uniti, e poi della Russia, dal trattato firmato nel 1987 da Ronald Reagan e Mikhail Gorbachev (Nfl per la sigla inglese), che proibisce i missili nucleari a raggio intermedio, è uno di questi.  L’accordo mise fine alla vicenda degli Ss-20 sovietici, che intimidivano l’Europa, e gli Irbm Pershing-2 e i Bgm-109 Tomahawk statunitensi, puntati sull’Unione Sovietica dalla Germania ovest, grazie allo smaltimento di circa 2.700 unità con una gittata fra le 300 e le 3.400 miglia, che condusse a una maggiore stabilità nel vecchio continente.  Nonostante il suo valore per la conclusione della guerra fredda, e la protezione degli amici degli americani in Europa negli anni posteriori, il Nfl non assicura il controllo universale dei missili messi al bando, soprattutto considerata l’ascesa di nuove superpotenze e potenze regionali.

Secondo dati presentati al congresso degli Stati Uniti nel 2017, il 95 per cento della forza missilistica della Cina violerebbe il trattato, se questo paese ne facesse parte.  Al di là delle accuse rivolte a Mosca in merito all’equipaggiamento di battaglioni con gli Ssc-8 e la sperimentazione del sistema 9M729, controbilanciate da quelle indirizzate a Washington per l’esteso programma di droni – tutti nella stessa categoria del Nfl, quel che è certo è che l’arsenale cinese rende inattuabile alle navi da guerra americane l’avvicinamento alla costa, mettendo gli Stati Uniti in una condizione di svantaggio nel Pacifico, a meno di piazzare missili terrestri a medio raggio in Giappone e nelle Filippine.  Non a caso Tokyo si è opposta di immediato alla posizione americana.  La rottura del Nfl sancisce in via definitiva il riconoscimento di una partita a tre.

Stati Uniti, Russia, e Cina, possono colpire con un missile qualsiasi luogo della terra.  Regno Unito e Francia sono grandi eminenze nucleari che siedono al consiglio di sicurezza.  La Corea del Nord ha aumentato la gittata missilistica e test dimostrano che potrebbero ledere gli Stati Uniti e circa metà del pianeta.  Altri stati hanno lavorato con alacrità per migliorare la precisione e la portata dei propri missili: Israele, India, Arabia Saudita, Iran, Pakistan, Corea del Sud, e Taiwan.  L’investimento è spesso dettato dal tentativo di mettere in guardia gli avversari limitrofi, sebbene gli effetti siano globali e il rischio che gli armamenti cadano in mano a gruppi terroristici è reale.  Il Pakistan è attrezzato per attaccare abbondantemente l’India; quest’ultima, dal canto suo, è in grado non solo di penetrare ovunque in Pakistan, ma anche in quasi tutta la Cina; Arabia Saudita e Israele, invece, è dal 1990 che sono preparati a bombardare l’intero territorio dell’Iran, ma questo potrebbe fare altrettanto con entrambi.

Nonostante gli sforzi per prevenire la proliferazione dei mezzi di distruzione di massa, nella pratica non è fattibile arrestare il commercio di piccoli componenti e la mobilità degli esperti.  L’acquisizione di un unico pezzo fisico, o quella di disegni, comporta avanzamenti di enorme rilevanza nella produzione di varianti o famiglie che vengono poi vendute ad altre nazioni, le quali a loro volta generano ulteriori versioni.  In questo modo, la Corea del Nord è arrivata alla produzione di missili intercontinentali, e un aumento di capacità da 745 a 8 mila miglia, in soli venti anni, dalla prima modifica di uno Scud, creato nel 1950 nell’Unione Sovietica.  Inoltre, si è sempre collaborato nel trasferimento di informazioni strategiche: l’India con la Russia, il Pakistan con la Cina, la Corea del Nord con l’Iran, seguendo la linea di storiche intese geopolitiche.

La Russia ha sviluppato missili ipersonici, che saranno in dotazione nel 2022, dai quali al momento gli Stati Uniti non si possono difendere.  Sono dispositivi che viaggiano a velocità sostenuta otto-dieci volte quella del suono, trasportano testate convenzionali e nucleari e sono atti a centrare sia bersagli navali sia di terra.  La loro andatura riduce i tempi di reazione e l’efficacia degli apparati di difesa e l’altitudine ne limita le probabilità di abbattimento, in aggiunta, la traiettoria non è prevedile e hanno un’alta manovrabilità, combinando caratteristiche dei missili balistici e dei missili Cruise.  La Cina è in possesso della stessa tecnologia e in alcune aree, incluso lo spazio cibernetico, ha già ottenuto la leadership.  Pechino, che sarà pronta nel 2025, ha dichiarato di volerne fare uso nel caso di una dichiarazione di indipendenza da parte di Taiwan, o di un intervento esterno a tale scopo, alludendo agli Stati Uniti.  E il transito da Russia o Cina all’Iran è a un passo.

L’effetto domino è stato innescato.  Gli Stati Uniti in risposta hanno firmato due contratti da 928 e 480 milioni di dollari con la società Lockheed Martin – azienda del settore dell’ingegneria aerospaziale e della difesa e maggior contraente militare degli Stati Uniti, per la costruzione di prototipi di sensori spaziali per individuare i missili a lunga gittata, e laser e droni per la loro distruzione poco dopo il lancio, nello scenario della guerra lampo.  Rimane da vedere quella che sarà nel medio e lungo termine la visione dell’Unione Europea riguardo alla propria difesa.  Gli alleati hanno tentato di far desistere Trump, ma la sua decisione ha demolito quello che era considerato il pilastro dell’architettura della sicurezza europea, e giunge in una congiuntura in cui le tensioni fra Russia e Nato vanno ampliandosi (leggi La Nato e le sfide contemporanee della sicurezza mondiale) e la Russia ha istallato missili Iskander, armabili con testate nucleari, nel suo exclave di Kaliningrad, a tiro di Polonia, Lituania, Latvia, Estonia e Svezia.

 

Questo articolo è stato pubblicato su EinaudiBlog, il blog della Fondazione Luigi Einaudi per studi di politica, economia e storia.

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