Capire la geopolitica: Esempi contemporanei – Il filo di perle della Cina

La Repubblica popolare cinese, che nel 2010 è diventata il maggior consumatore di energia al mondo, acquisisce circa il 50 per cento del petrolio dall’area del Golfo Persico. Osservando l’incremento continuo e progressivo del suo fabbisogno, così come l’importazione di materie prime, quali carbone, metalli e greggio, dall’Africa, risulta lampante la rilevanza commerciale di mantenere sicuri i trasporti marittimi attraverso l’Oceano Indiano.
Nondimeno, un buon numero di fattori minaccia la protezione dei propri interessi economici nella regione. Fra questi, campeggiano la pirateria che si attiva dal Corno d’Africa, ma anche l’infrastruttura navale dell’India, e la presenza della flotta statunitense nei chokepoint del sudest asiatico. In special modo da questi ultimi, potrebbero essere avviate azioni di diverso tipo che la taglierebbero fuori dalle importanti rotte dell’Oceano Indiano.
La capacità di proiezione della Cina sull’Oceano Indiano è limitata, innanzitutto dal fatto di non avere un tratto nazionale di costa, e in secondo luogo, dalla concentrazione delle proprie operazioni navali nell’Oceano Pacifico, teatro di cospicue dispute territoriali, e principale focus di attenzione della marina militare. Per poter operare in questo scenario geopolitico, la Cina ha dovuto iniziare a costruire, riabilitare, o potenziare, porti ubicati in paesi amici.
I più famosi, di quello che è stato denominato “il filo di perle della Cina”, sono Gwadar in Pakistan e Kyaukpvu in Myanmar, connessi alla Cina da corridoi terrestri e oleodotti. In particolare, gli oleodotti riducono in maniera significativa i tempi di trasporto dai fornitori in Medio Oriente, le permettono di aggirare i chokepoint e, per esempio, nel caso di Gwadar, potenziali ostruzioni da parte della marina indiana sarebbero ridotte al minimo.
Se sono chiari i presupposti geografici che hanno determinato questa scelta strategica, tuttavia, gli effetti a lungo raggio sono ancora da comprendere. Think tank indiani e statunitensi, da tempo, hanno messo in guardia rispetto alla penetrazione cinese. Alcuni studiosi, la relazionano al bisogno di assicurarsi risorse minerarie, indicandola però come condizione favorevole affinché la Cina aumenti la competitività e si elevi al rango di potenza mondiale, anche se non per forza con mire belliche.
Questi porti sono indubbi poli di crescita, dove le compagnie cinesi investono in zone franche che cooperano con quelle locali, incorporandole in catene di valore. I politici cinesi parlano di una nuova Via della Seta, sottolineandone le prospettive di cooperazione economica. Malgrado ciò, le amministrazioni americane nutrono il sospetto che si tratti di un paradigma di sicurezza. Certo è che per mettere insieme il quadro completo si vede necessario includere considerazioni più ampie di influenza politica.
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