Almanacco: la battaglia di Puebla

Il regime di Napoleone III, instaurato dal 1852 al 1870, altrimenti conosciuto come Secondo Impero, fu costretto a soccombere alla resistenza opposta dal popolo messicano all’invasione francese, malgrado l’eccellenza militare dell’esercito professionale, comandato dal generale Charles Ferdinand Latrille, conte di Lorencez, veterano della campagna di Algeria e la guerra di Crimea. La battaglia del 5 maggio 1862, combattuta nelle vicinanze della città di Puebla, fu vinta con un contundente vantaggio da parte delle forze guidate dal generale Ignacio Zaragoza, nonostante il generale Latrille, in seguito all’affermazione francese negli scontri del 28 aprile nell’area di Acultzingo, avesse già informato il ministro della guerra a Parigi di aver soggiogato i messicani “con una superiorità di razza, organizzazione, disciplina, moralità” e di considerarsi, alla testa di seimila soldati, “il padrone del Messico”.

Il conflitto era sorto come conseguenza della guerra civile messicana, nota con il nome di Guerra della Riforma, che ebbe luogo dal 1858 al 1861, fra i conservatori del dittatore Antonio López de Santa Anna, e i liberali di Benito Juárez, i quali avevano formato un governo democraticamente eletto, e instaurato riforme che includevano la separazione fra la Chiesa e lo Stato, la nazionalizzazione dei beni ecclesiastici e la libertà di culto. Il boicottaggio dei conservatori nella ricostruzione economica del paese, e l’opposizione dell’establishment finanziario nel concedere prestiti all’amministrazione liberale, condusse a una grave crisi che obbligò Juárez a richiedere, a luglio del 1861, un’estensione di due anni per il versamento degli interessi di debiti con potenze straniere, contratti sia dai liberali sia dai conservatori. Francia, Inghilterra e Spagna (rispettivamente creditori di 135 milioni di franchi, 85 milioni di sterline, e 40 milioni di pesos), non solo negarono la richiesta, ma attraverso con la Convenzione di Londra accordarono l’invio di truppe in Messico per ottenere i pagamenti di rispettiva competenza.

Di fronte a tali minacce, Juárez intraprese un dialogo diplomatico, e l’allora ministro per gli affari esteri, Manuel Doblado, ottenne che Spagna e Inghilterra desistessero dal patto di guerra, benché la flotta inglese avesse raggiunto Veracruz tra il 6 e l’8 gennaio 1862. Tuttavia, la Francia vide nella delicata situazione che il governo liberale stava affrontando un’opportunità per le proprie mire espansionistiche e il proprio posizionamento geopolitico nelle Americhe. Con l’appoggio di corpi militari fedeli alla fazione conservatrice, diedero inizio a un’invasione armata. Dopo Acultzingo, il seguente obiettivo, verso la capitale della repubblica, era Puebla. Attaccarono il Forte di Guadalupe e, per ben due volte, furono respinti dalle forze nazionali e costretti alla ritirata. La prima carica dei francesi venne fermata da indigeni volontari, originari di Tetela del Río, centoquindici uomini che costituivano la maggioranza del primo corpo dell’Esercito dell’Oriente mobilitato nella battaglia.

Oltre ai tetelensi, altri gruppi di popoli autoctoni, zacapoaxtla e xochiapulco fra gli altri, si unirono ai soldati messicani per la difesa del territorio, armati solo di machete e senza alcun tipo di addestramento, mostrando una visione libertaria, al contrario delle élite, che combatterono al fianco dei francesi. Nondimeno, significativo fu il caso del generale conservatore Miguel Negrete che si mise a disposizione di Zaragoza, dichiarando “Ho una patria prima di un partito”. Il presidente Juárez ricevette il dispaccio della vittoria per telegramma, servizio installato in Messico dal 1851, alle 4:15 del pomeriggio, con la celebre frase “L’esercito messicano si è coperto di gloria”. La battaglia di Puebla rappresentò un importante passo, in quanto ritardò l’avanzata dell’invasore per un anno, e permise di organizzare la difesa della capitale che, però, cadde nel 1863. Napoleone III proclamò un impero cattolico, e offrì la corona a Massimiliano I d’Asburgo, che l’accettò nel castello di Miramare presso Trieste per poi sbarcare in Messico nel 1864.

La guerra di resistenza proseguì contro l’esercito imperiale d’Asburgo e le truppe napoleoniche, fino a quando, nel 1867, anche grazie alle azioni intimidatorie di Abraham Lincoln sul confine tra i due paesi, venne ripresa la capitale, rinstaurata la costituzione del 1857, e Massimiliano giustiziato per ordine di Juárez. Lincoln, insediatosi nel 1861, e simpatizzante dei liberali messicani, non aveva applicato la dottrina Monroe, che dal 1823 diffida verso qualunque ingerenza nel continente americano, a causa della guerra civile statunitense, che si protrasse fino al 1865, impedendo l’accesso alla frontiera sud, dove governava la Confederazione.

Nonostante la liberazione avvenne anni dopo, il trionfo di Puebla fu emblematico per la situazione avversa in cui si diede, considerate le profonde divisioni all’interno della società, le condizioni sfavorevoli di inferiorità numerica e armamenti, il confronto con quello che era considerato l’esercito più efficiente al mondo, il basso morale per gli eventi anteriori, e il tradimento di settori strategici in sostegno agli invasori. Per questa ragione, il 5 maggio si è convertito in un simbolo nazionale di identità, libertà, autonomia, e indipendenza. L’aggressione fu l’ultimo tentativo di colonizzazione di potenze europee nelle Americhe.

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