Capire la geopolitica: Esempi contemporanei – La guerra marittima asimmetrica dell’Iran
Durante gran parte della storia persiana, l’apprensione e il cruciale impegno per la protezione dell’estesa frontiera terrestre, da ripetute ondate di invasori, ha prevalso sul disegno di una strategia marittima.Fu la crescita dell’industria petrolifera, vitale per l’economia del paese, a indurre il regime dello Scià, negli anni sessanta, a gettare le fondamenta di una flotta, intesa come imprescindibile per la tutela delle esportazioni di greggio.
Ciò nonostante, la rivoluzione islamica del 1979 e, soprattutto, il conflitto con l’Iraq, riportarono l’attenzione sulla salvaguardia dei confini. Per la verità, la marina iraniana aveva, sin dagli inizi, affermato la propria superiorità, nell’intento di deteriorare il commercio del petrolio dell’Iraq. La ritorsione degli Stati Uniti del 1988 mise, tuttavia, il paese di fronte a un’armata navale con cui era inverosimile competere in condizioni di simmetria.
La sconfitta dell’Iraq nella guerra del Golfo del 1990-91 contribuì a rafforzare la necessità di una diversa concezione della difesa. L’Iran si trovò in una situazione senza precedenti, nella quale i suoi maggiori antagonisti arrivavano dal mare, invece che da terra. Infatti, gli stati arabi del Golfo erano schierati nelle immediate vicinanze del suo litorale, e le navi della marina militare inglese e statunitense erano piazzate appena oltre lo Stretto di Hormuz.
Di fronte alla superiorità tecnologica degli oppositori, per l’Iran l’unica via di uscita è stata quella di adottare una serie di pratiche di guerra asimmetrica, che con il tempo si sono affinate in un approccio complesso, malgrado abbiano sinora prodotto solo risultati tattici. Le sfide prodotte ai danni degli interessi degli Stati Uniti e i suoi alleati derivano da quanto appreso con l’Iraq e osservato dell’esperienza americana in Afghanistan.
Alla radice della definizione della strategia marittima asimmetrica dell’Iran ci sono degli aspetti geografici, storici e di valutazione di opportunità. Il principale sta nelle dimensioni dello Stretto di Hormuz, su cui il paese si affaccia, e dove il Golfo Persico si restringe a soli 54 chilometri di larghezza. Dallo Stretto passa una media di 15.5 milioni di barili al giorno che corrisponde a un terzo del traffico su acqua e un quinto della produzione mondiali. Il suo controllo è, di conseguenza, sostanziale per il dominio dell’economia globale.
Grazie a questa caratteristica, l’Iran ha costruito un sistema difensivo che, nel fitto reticolo di canali navigabili e isolette, cela attracchi di uno sciame di motovedette d’assalto e piattaforme di artiglieria anti-missilistica, che gli permettono di posizionarsi con rapidità per sabotare le petroliere di forze ostili, o di mantenere chiuso lo Stretto, nell’eventualità della presenza di portaerei straniere.
Oggigiorno, il Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche (Irgc per la sigla in inglese) è dotato di equipaggiamento ad alta tecnologia, progettato a misura di funzioni peculiari e distinte, nel contesto della guerra asimmetrica, compreso un uso estensivo di velivoli pilotati a distanza. E stato anche attrezzato per condurre offensive elettroniche in grado di ostruire le linee di comando e controllo, così come le comunicazioni dei rivali. Risorse considerevoli sono state, poi, investite in controspionaggio e manovre diversive o di disinformazione.
Le operazioni si sono dimostrate precise nell’assestare duri colpi a installazioni offshore, petroliere e cargo, e provocare continue emorragie agli affari degli avversari. L’Irgc rappresenta un rischio reale per le rotte di navigazione nel Golfo Persico, il Golfo di Oman e il Mar Caspio, con un pesante armamentario integrato da imbarcazioni esplosive kamikaze telepilotate, siluri intelligenti, mine galleggianti, sbarramenti di razzi con testate a grappolo, missili a lunga gittata disposti su vettori aerei e navali, sommergibili e semisommergibili.
D’altro lato, il fatto che le grandi città iraniane dall’antichità siano fiorite nell’entroterra, pur essendo per certi versi un elemento positivo, considerato che la popolazione civile non è esposta agli attacchi di nazioni ostili dal mare, non ha favorito lo sviluppo costiero. Pertanto, mancando proprio quell’infrastruttura cruciale per la crescita e il consolidamento di un effettivo potere navale, il ricorso a una guerra asimmetrica, oltre a essere un investimento contenuto rispetto all’allestimento di una flotta da guerra convenzionale, impone notevoli costi ai contendenti.
Tale scelta, in ogni caso, pur massimizzando la sicurezza nella varietà di mezzi, e un approccio sostenuto e comprensivo, contiene all’origine dei limiti materiali, che minano il pieno raggiungimento degli obiettivi, non riuscendo a scongiurare una minaccia che resta latente. La strategia, quindi, scommette sull’evenienza di resistere tanto a lungo da trasformare un potenziale conflitto diretto in una guerra di attrito, e infliggere un livello più o meno costante di perdite umane e materiali che potrebbero, in ultima istanza, indurre il nemico a desistere.
La forte concentrazione di sforzi su questa opzione, inoltre, riduce la possibilità per l’Iran di ampliare il proprio arsenale con corvette, fregate, e navi multi-missione, che gli consentirebbero di acquisire un ruolo al di fuori dei bassi fondali del Golfo Persico o attrezzarsi contro il dispiegamento di sottomarini nucleari nell’Oceano Indiano. La capacità di agire su entrambi i teatri, dove sono presenti tutte le potenze mondiali, gioca un’enorme importanza sul futuro geopolitico dell’Iran.
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