Giornata internazionale contro le mutilazioni genitali femminili

Dei 31 paesi in cui si applica la mutilazione genitale femminile, 27 si trovano nel continente africano, anche se la geografia del fenomeno è variegata. In questi, oltre un milione di donne sono state vittime della pratica che si radica in una profonda disuguaglianza di genere e l’ossessione per il controllo della sessualità.

In Somalia, la quasi totalità della popolazione femminile, 98 per cento, ha sofferto la mutilazione e la forma più violenta di infibulazione. Si registrano percentuali alte anche in Guinea, 95 per cento; Gibuti, 94 per cento; Mali, 89 per cento; Egitto 87, per cento; e Sierra Leone, 86 per cento. Niger, Camerun e Uganda registrano i tassi minori, 5 per cento. In ogni stato, però, esistono differenze tra regioni, comunità rurali, minoranze, e gruppi etnici che in Africa sono circa 30 mila.

Nel caso del Kenia, dove la mutilazione genitale colpisce il 21 per cento delle donne del paese, la percentuale si eleva al 73 per cento nei contesti culturali masai e al 98 per cento in quelli somali. L’ablazione della clitoride e le labbra minori è considerato un fattore di “purezza” e, soprattutto, garanzia indispensabile per la monogamia. Nelle regioni scarsamente popolate, caratterizzate da allevamento e agricoltura itineranti, i matrimoni sono regolati dalla dote, il cui valore viene calcolato in capi di bestiame, e che deve essere corrisposta alla famiglia della sposa, a titolo di risarcimento per la perdita del suo lavoro. Nessuna negoziazione di questo tipo avrebbe luogo senza la condizione del “taglio”.

Il Kenia l’ha dichiarata delitto penale nel 2001. Nel 2011, ha esteso le condanne a quanti la promuovono e ha istituito una commissione per prevenire e controllare la persistenza e diffusione. Il presidente Uhuru Kenyatta aveva assunto l’impegno di erradicarla entro il 2022, ma le cronache locali testimoniano quando lontani ci si trovi dall’obiettivo, con notizie di donne di ogni età internate in ospedali per gravi conseguenze di salute, determinate dalla mutilazione; lavoratori sanitari implicati in queste attività in forma clandestina; e sfilate pubbliche di migliaia di bambine, sottoposte al brutale procedimento, scortate da uomini armati.

L’isolamento sociale, e le restrizioni di movimento, imposte dalla contenzione della pandemia Covid-19, tuttavia, hanno messo a rischio i risultati ottenuti nel mondo, a causa dell’interruzione dei programmi che erano stati disegnati e implementati in concertazione con i governi. Secondo le Nazioni Unite, nel prossimo decennio, si darebbe un aumento di 2 milioni di casi di mutilazione genitale femminile che, altrimenti, sarebbero stati evitati. Allo stesso modo, fra il 2020 e il 2030, potrebbero prodursi circa 13 milioni di matrimoni precoci che si sarebbero potuti scongiurare.

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