Nicaragua punto e accapo

Le proteste avvenute in Nicaragua contro la riforma fiscale del passato aprile, che decretava un aumento delle imposte per lavoratori, impresari e pensionati, hanno canalizzato il malcontento diffuso dal 2013 verso il presidente Daniel Ortega, in carica da undici anni mediante un ferreo controllo dell’esercito e della polizia. Ortega, 72 anni, ha partecipato all’insurrezione sandinista che cancellò l’assolutismo di Anastasio Somoza Debayle. E’ stato il leader dell’organo di ricostruzione nazionale, installatasi nel 1979, presidente eletto dal 1984 al 1990. Sconfitto alle urne da Violeta Barrios, è tornato al comando nel 2007, accompagnato da accuse di essersi allontanato dallo spirito della rivoluzione e aver costituito un esecutivo clientelare e corrotto – sua moglie Rosario Murillo è alla vice-presidenza e i suoi figli sovrintendono società pubbliche e gruppi editoriali.

La feroce repressione di cortei, scioperi e occupazioni studentesche, con un bilancio di circa 400 morti e oltre mille feriti, e la chiusura di canali televisivi indipendenti che davano copertura agli eventi, ha condotto ad accuse di pesanti violazioni e una richiesta di dimissioni, nonostante la riforma sia stata ritirata. La Commissione Interamericana di Diritti Umani ha segnalato detenzioni arbitrarie ed esecuzioni extra-giudiziali – è documentato l’impiego di cecchini su manifestazioni di studenti, torture nei centri di detenzione e l’uso di forze para-militari. L’Organizzazione degli Stati Americani ha dichiarato che la situazione di violenza in Nicaragua è peggiore di quella in Venezuela.

Celia Aguilar Setién è una ex-dirigente dell’amministrazione messicana, poi funzionaria delle Nazioni Unite. Membro della brigata di supporto, inviata all’indomani della vittoria del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale, è rimasta in Nicaragua per circa vent’anni, ricoprendo varie cariche e operando nelle aree più emarginate.

MP: Molti degli antichi alleati di Daniel Ortega si sono convertiti in aspri critici della sua deriva autoritaria, fra cui Oscar René Vargas, sociologo e co-fondatore del Fronte Sandinista. Lo scrittore Sergio Ramírez, vice-presidente di Ortega durante il primo mandato, alla cerimonia di consegna del premio Cervantes, lo ha dedicato ai “caduti per la giustizia”, riferendosi agli scontri degli ultimi mesi. Cosa pensi di questa involuzione di uno dei protagonisti della storia del paese?

CA: Ciò che sta avvenendo in Nicaragua è il risultato di un lento corso politico e sociale dentro il contesto internazionale. La rivoluzione sandinista è stata realizzata con l’intelligenza sociale, l’impegno politico e il coinvolgimento etico di combattenti – donne e uomini, che hanno fondato uno stato laddove esisteva la sconfinata piantagione dei Somoza. Ha creato istituzioni e politiche pubbliche, l’alfabetizzazione delle masse contadine, l’accesso universale alla salute e all’educazione, il riconoscimento della diversità culturale, e l’autonomia dei popoli indigeni e delle comunità afro-discendenti. La guerra di bassa intensità, seguita all’insediamento della giunta rivoluzionaria – sostenuta con le armi, l’intelligence e, soprattutto, le alleanze con altri movimenti latinoamericani di simile aspirazione, che non hanno mai permesso colpi di stato della Cia, ha però sfiancato il paese e segnato intere generazioni. Il passaggio alla democrazia elettorale ha rappresentato una sfida, inizialmente vinta, ma con la caduta del muro di Berlino, e l’avanzata globalizzante, sono venuti meno spinta ideologica e appoggio del blocco socialista, e hanno prevalso la stanchezza e la disillusione. Malgrado la disfatta dopo la prima emblematica presidenza, il parlamento era a prevalenza sandinista e le forze armate sotto l’egida del Fronte, tuttavia non ha avuto luogo una difesa lungimirante degli spazi politici, piuttosto una ricerca affannosa per tutelare benefici e accaparrarsi privilegi. E’ qui che si apre la spaccatura che continua sino a oggi. Sorge il Movimento di Rinnovamento Sandinista, il quale denuncia la collusione con i poteri fattivi dell’economia, il latifondo e la finanza che, nello svolgimento del presente mandato, ha cementato uno spregevole dispotismo estemporaneo. A lungo, i nicaraguensi, che tanto hanno sacrificato alla rivoluzione, non hanno potuto smettere di dargli fiducia. Questo è stato il passaggio più doloroso: osservare l’immagine stessa del sandinismo nell’atto di smantellare tessera per tessera il mosaico dei principi rivoluzionari, senza che il popolo riuscisse a ritenerlo responsabile.

MP: Il Presidente è ricorso agli Stati Uniti per una mediazione con le parti che compongono il tavolo nazionale per trovare una soluzione al conflitto. L’ambasciatrice americana a Managua ha inoltrato una proposta di anticipo delle elezioni da marzo del 2021 al 2019. Dapprima rigettata, è stata inclusa in un’agenda per la democratizzazione. Ritieni che dalla congiuntura attuale possa scaturire una reale opportunità di cambio?

CA: La congiuntura dimostra che non vi sono né statisti né idee alla guida del paese. Solo lo straordinario risveglio dei cittadini comuni potrà alimentare un progetto di cambiamento e speranza per il Nicaragua. E’ triste assistere a tale accanimento con la fine del regime come unica soluzione all’orizzonte; drammatico il ruolo dell’esercito che in Nicaragua dalla rivoluzione è stato il protettore degli oppressi. Le organizzazioni internazionali, nei limiti delle loro possibilità, dovrebbero contribuire a frenare il massacro e coltivare i processi sociali e organizzativi che stanno prendendo forma. C’è da imparare da questa resistenza, generosità e coraggio e dalla rinascita che verrà.

MP: Per una decade, il settore privato ha offerto un saldo consenso a Ortega, con il quale venivano tessute tutte le decisioni su temi economici nazionali, senza altri interlocutori. La crisi ha causato perdite che superano i 600 milioni di dollari, un negativo impatto sociale e un retrocesso economico di almeno cinque anni nelle relazioni commerciali con gli altri paesi centroamericani. Gli imprenditori, rotta l’alleanza, si avvicinano a settori una volta ostracizzati. Frutto di una lezione appresa o di semplice utilitarismo?

CA: Non so se il settore privato abbia la capacità di assimilare lezioni che non siano esclusive al proprio tornaconto. Le imprese hanno già guadagnato dalla corruzione e la scossa maggiore delle perdite è sempre per i più deboli. Le dittature sono mosse da interessi economici, latifondisti e monopolisti, vecchi e nuovi. I pezzi da novanta hanno abbandonato la nave. Niente di singolare: la meschinità dei soliti noti li spinge da un lato all’altro del tavolo da gioco.

MP: Il dialogo è gestito dalla conferenza episcopale del Nicaragua che ha una vigorosa influenza nel paese. Il vescovo più attivo è quello di Masaya, regione dall’importante tradizione sociale dove quaranta anni fa si accese la miccia della rivolta contro la famiglia Somoza. Eppure voci le attribuiscono oneri precisi nel mantenimento della poltrona di Ortega. Qual è la tua valutazione del ruolo della chiesa dalla rivoluzione a oggi?

CA: Il cattolicesimo in Nicaragua è stato diviso fra la chiesa dei poveri e la chiesa del potere, anche se ha prevalso quella complice delle egemonie. Per ironia della sorte, al funerale del riverito vescovo e cardinale Obando y Bravo, non è potuto intervenire quasi nessuno nel mezzo dei disordini, ed è sorta una leadership vicina alla giustizia sociale, in linea con alcune lettere pastorali e la visione di papa Francesco. Non si deve dimenticare la denuncia di abuso sessuale del 1998 di Zoilamérica Narvaez, figlia adottiva di Ortega, nei confronti del patrigno, messa a tacere grazie all’intercessione di Obando y Bravo e l’omertà dei militanti del Fronte. Da quel momento è stato chiaro che a governare erano in due; il sentimento rivoluzionario si è diluito in una carità conformista e il cristianesimo è andato trasformandosi in pratiche conservatrici sino al fanatismo.

MP: Il paese è teatro di un significativo movimento di disubbidienza civile, materializzato in centinaia di blocchi stradali e barricate nelle principali città, che unisce un’ampia trasversalità di espressioni della società civile. C’è linfa per il futuro?

CA: C’è una bellezza nel Nicaragua odierno che non giunge inaspettata a chi lo conosce. E’ la determinazione della sua gente che sopporta e resiste, ma quando dice basta non la ferma niente e nessuno. Coloro che occupano la prima linea sono giovani che non erano nati all’epoca della rivoluzione. In un secolo in cui le grandi ideologie, promotrici di uguaglianza e giustizia, si sono estinte, e si fanno largo i populismi illetterati e reazionari, questi ragazzi e queste ragazze si alzano ancora in nome della libertà come condizione indispensabile per la loro esistenza.

 

Questa intervista è stata pubblicata dal quotidiano indipendente online di geopolitica e politica estera Notizie Geopolitiche.

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3 thoughts on “Nicaragua punto e accapo

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  1. A causa delle crescenti violazioni di diritti umani il governo di Ortega corre il rischio di perdere il finanziamento degli organismi multilaterali con un conseguente incremento del debito pubblico. Secondo l’agenzia di rating Standards&Poor l’economia non tornerà ai livelli di crescita degli ultimi anni, intorno al 5 per cento. Per quello corrente si prevede solo uno 0.5 e una media inferiore al 2 nel periodo 2019-2021.

  2. D’altra parte il Nicaragua sta intavolando nuovi rapporti con Russia e Cina da cui potrebbero arrivare importanti finanziamenti.
    L’agenzia spaziale Roscosmos ha installato il primo centro satellitare d’America per il sistema di geolocalizzazione Glonass, l’alternativa russa al sistema GPS targato Usa, che riceverà segnali da almeno ventiquattro satelliti. Nella base militare di Puerto Sandino lavorano congiuntamente truppe russe e nicaraguensi, dopo un accordo per l’addestramento delle forze locali in ambito umanitario.
    La Cina ha avanzato proposte per la realizzazione di un canale che taglierebbe il paese sul modello di quello di Panama. E il Nicaragua potrebbe abbandonare il riconoscimento di Taiwan in modo da attrarre investimenti da Pechino.

  3. Ho letto con interesse questo articolo sulla situazione politica di una nazione che negli ultimi decenni ha avuto molte vicissitudini e che è sparita dai media più importanti, almeno qui in Italia. Il mio sentito ringraziamento va all’autrice che porta alla nostra attenzione la realtà di paesi di cui è difficile ottenere notizie.

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