Salvare l’Amazzonia: l’appello dei waorani dell’Ecuador

I waorani combattono per il loro territorio da centinaia di anni, ma potrebbero presto vederlo messo all’asta per il miglior offerente dell’industria estrattiva.  Dal cuore dell’Amazzonia, diciotto comunità chiedono all’Ecuador e al mondo di bandire le trivelle dalla regione fra le più biologicamente diverse del pianeta.

All’inizio dell’anno, il presidente Lenin Moreno ha inaugurato un programma per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi e di gas naturale nel sud-est della foresta amazzonica nel tentativo di far riprendere piede a un’economia depressa dal crollo del prezzo internazionale del greggio nel 2014.  L’area è stata divisa in blocchi e sono fioccate dichiarazioni di interesse da parte di compagnie nazionali e internazionali, incluse ExxonMobile e Shell.  Il governo prevede di generare un gettito di 800 milioni di dollari.

I waorani, con l’aiuto delle organizzazioni governative Digital Democracy e Amazon Frontlines, che hanno messo a disposizione sistemi Gps, telecamere per il fototrappolaggio della fauna, e droni, sono riusciti nell’intento di realizzare una mappa interattiva di un totale di 180 mila ettari, dove sono localizzati habitat di animali rari, o in via di estinzione, e di piante medicinali, così come aree sacre o di altro interesse ancestrale.  La tesi dei waorani è che le mappe ufficiali indicano uno spazio vuoto, aldilà di qualche villaggio e i corsi d’acqua.  Al contrario, l’Amazzonia è un luogo di natura, scienza, tecnologia, cultura, storia, e non può essere venduta e ridotta a un campo estrattivo.

Del resto, secondo i risultati di uno studio dello stesso esecutivo, che comprende anche le terre ancora non esplorate, il paese non avrebbe che un ventennio scarso di riserve di greggio.  Ai critici del programma risulta difficile comprendere come la dipendenza dal petrolio possa continuare a essere un buon investimento, quando la contropartita è la distruzione dell’ambiente, accompagnata dal montare di frustrazione e risentimento in ampie sacche della popolazione.

Il tema è controverso.  L’estrazione del petrolio ha costituito una parte determinante dell’economia dell’Ecuador, contribuendo alla crescita del paese fra il 2006 e il 2014, e alla riduzione della povertà, grazie alle politiche sociali redistributive dell’allora presidente Rafael Correa.  Molte comunità indigene sono state, però, sfollate, il loro tessuto sociale e culturale lacerato, e la popolazione esposta agli effetti nocivi delle esalazioni, con un incremento dell’incidenza di patologie tumorali.  A detta degli yasuni, residenti in una riserva nazionale, che nel 2007 non venne risparmiata dalla depredazione di risorse naturali, questi interventi, nonostante le promesse, restringono le opportunità di sviluppo, invece che contribuire a un cambio delle condizioni di vita.

 

Questo articolo è stato pubblicato dalla rivista online dell’associazione politica Liberi Cittadini.

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